7.5
- Band: HATE
- Durata: 00:46:12
- Disponibile dal: 02/05/2025
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Quando una band come gli Hate arriva al tredicesimo album, la vera sfida non è più cosa suonare, ma come renderlo ancora interessante ed espressivo. “Bellum Regiis” entra in scena con passo deciso, senza annunci roboanti, ma con la calma sicurezza di chi conosce ogni angolo del proprio territorio musicale. Non c’è bisogno di troppi stravolgimenti o colpi di teatro: basta saper affilare gli strumenti giusti, al momento giusto. E in questo nuovo capitolo, i Nostri sembrano aver ritrovato un equilibrio che suona familiare, ma lascia intravedere movimenti più sottili sotto la superficie.
Attivi dal lontano 1991, i polacchi guidati da ATF Sinner hanno a lungo cercato di lasciarsi alle spalle la semplice etichetta di “discepoli dei Behemoth”, provando a trasformarsi in un’entità capace di raccontare la propria visione di certo cosiddetto blackened death metal con voce più autonoma. Se i primi anni Duemila avevano messo in mostra un suono marziale, tagliente e diretto, negli ultimi album il gruppo ha cercato nuove sfumature, abbracciando atmosfere più ampie, quasi rituali, e costruendo concept articolati che provavano a spingere oltre la dimensione puramente aggressiva.
“Bellum Regiis” si inserisce in questo percorso come una tappa particolarmente completa. L’album riassume le ultime due decadi del gruppo con una sintesi che cerca di evitare la semplice autocelebrazione, puntando invece a un’integrazione organica dei due principali filoni stilistici che hanno definito la loro evoluzione: da un lato, le suggestioni epiche e cupe, figlie del mondo black metal; dall’altro, l’aggressività tellurica del death metal di scuola est-europea. In questo equilibrio dinamico si muovono le tracce dell’album, tutte capaci di alternare tensioni narrative e impatti sferzanti con un gusto per la forma che, oggi più che mai, fa la differenza.
Il riffing torna a essere più spigoloso e roccioso, riportando alla memoria il periodo 2003–2010, ma lo fa senza rinunciare alla complessità e alle sfumature raggiunte nei lavori più recenti. Le linee di chitarra non si limitano a costruire muri sonori: spesso si insinuano in tessiture più oscure, quasi liturgiche, sempre però sostenute da una sezione ritmica robusta e ben centrata. ATF Sinner si dimostra ancora una volta il cuore pulsante della band, non solo per la sua prova vocale, ma per la coerenza della visione musicale e lirica. Il concept, pur senza sovrastare la musica, permea l’album con una costante sensazione di maestosità decadente, amplificata da arrangiamenti curati e da brevi interventi di voce femminile che arricchiscono senza invadere.
La produzione, potente ma mai eccessivamente plastificata, valorizza le sfumature del disco e restituisce con chiarezza sia la violenza che l’introspezione. L’impressione è quella di un lavoro pensato nei dettagli, ma non per questo sterile o calcolato: “Bellum Regiis” scorre senza intoppi, con disinvoltura, rispolverando a tratti formule magari oggi considerabili démodé, ma sempre con una solida ispirazione.
In un’epoca in cui questo tipo di black-death metal rischia spesso di suonare manierista o svuotato, un disco come questo, ben interpretato da un gruppo esperto, ricorda che l’efficacia non sta nella novità o nel revival a tutti i costi, ma nel saper dare nuova vita a ciò che si conosce a fondo. E sotto questo aspetto, “Bellum Regiis” è uno dei capitoli più riusciti del lunghissimo percorso degli Hate.