6.5
- Band: HATESPHERE
- Durata: 00:42:03
- Disponibile dal: 27/09/2013
- Etichetta:
- Massacre Records
- Distributore: Audioglobe
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Si può dire che parlare di thrash-death metal in Danimarca corrisponda a parlare di Hatesphere. Dagli ormai tardi anni Novanta la moda di velocizzare, appesantire o semplicemente copiare riff figli del thrash Bay Area e di “Slaughter Of The Soul” degli At The Gates ha preso piede, assurgendo al rango di “genere” vero e proprio, anche se, come al solito, i contenitori diventano troppo stretti per ciò che dovrebbe starci dentro, rendendo le definizioni rapidamente obsolete. Ciò però non ha riguardato gli Hatesphere, il cui stile con gli anni non ha subito particolari trasformazioni ed implementazioni, a dispetto di una lineup quasi sempre piuttosto instabile, con l’eccezione dell’inossidabile chitarrista Peter “Pepe” Lyse Hansen. “Murderlust” è addirittura l’ottavo full-length per il gruppo di Aarhus… il primo per Massacre Records e il primo dopo il grande tonfo di “The Great Bludgeoning”, disco veramente piatto, che ha appunto portato la Napalm Records a lasciare andare il quintetto. Onestamente, scarse erano le aspettative per questo come-back, ma bisogna ammettere che i diversi ascolti concessi a “Murderlust” ci hanno donato l’immagine di una band che pare ancora crederci e che, nonostante dei limiti evidenti e ormai noti, ha fatto il possibile per rimboccarsi le maniche e tornare sulle scene con un’opera dignitosa. Già il fatto di aver mantenuto la lineup intatta dal disco precedente è un piccolo traguardo per gli Hatesphere e forse questo è anche e soprattutto il motivo per cui il nuovo lavoro risulta un po’ più coeso ed efficace rispetto a “The Great Bludgeoning”; i musicisti devono avere avuto il tempo di conoscersi, di migliorare il proprio affiatamento e di lavorare ai brani con maggiore serenità. Certamente Pepe è sempre al timone, dato che i pezzi suonano inequivocabilmente Hatesphere, ma rispetto all’ultimo disco emergono un tiro e una scioltezza maggiori. In verità, l’album parte male, con una title track dai riff e dallo sviluppo banalissimi, ma “Pandora’s Hell” mette in luce una struttura più vibrante, così come la lunga “Fear Me”, un po’ ripetitiva nel midtempo iniziale, ma salvata da una seconda parte in cui i Nostri offrono delle belle sgambate in doppia cassa. Proprio notevole, invece, “The Violent Act”, traccia fra le migliori del recente repertorio dei ragazzi: Esben “Esse” Elnegaard Kjaer Hansen imita il vecchio cantante Jacob Bredahl nel ritornello arioso, ma ciò non è una vergogna… i riff e le melodie sono molto ispirati e, per una volta, il pezzo non suona come un totale riciclo di altri brani. Da qui in poi, il platter sostanzialmente alterna episodi discreti/buoni (fra cui una versione thrash di “Assassin” dei Muse) ad altri più triti, esattamente come numerosi album della discografia dei ragazzi, anche se chiaramente il livello medio non è purtroppo quello di un “Ballet Of The Brute” o di un “The Sickness Within”. Si respira però un pelo in più di entusiasmo rispetto a “The Great Bludgeoning” e ciò, assieme appunto a qualche pezzo brillante, tutto sommato salva il disco e permette ai danesi di restare in una ipotetica Serie A del genere (anche se nelle zone medio-basse). Ad oggi, non è il caso di pretendere di più.