8.5
- Band: HAWKWIND
- Durata: 00:41:37
- Disponibile dal: 24/11/1972
- Etichetta:
- United Artists Records
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“We weren’t Pink Floyd, we weren’t cute. We were like a black nightmare”.
L’ennesima perla di saggezza partorita da Lemmy Kilmister, sintetizza in poche parole la folle architettura sonora ideata dagli Hawkwind al tramonto degli anni Sessanta. Dopo aver pubblicato il gradevole omonimo esordio ed il ben più interessante “In Search Of Space”, titolo che già di per sé lasciava presagire una radicale evoluzione artistica in atto, il collettivo britannico formalizza l’ingresso di due elementi che si riveleranno fondamentali per la propria economia. Il poderoso batterista Simon King e l’eclettico bassista Ian ‘Lemmy’ Kilmister contribuiscono a donare maggior spessore ad una compagine pronta a spiccare il definitivo salto di qualità. Rilasciato il 9 giugno 1972, il celebre singolo “Silver Machine” viene curiosamente interpretato da quest’ultimo, ottenendo un incredibile terzo posto nelle classifiche inglesi. Galvanizzati dall’improvvisa impennata di consensi, i protagonisti si rinchiudono nei Rockfield Studios, ubicati in una zona rurale del Galles, per forgiare la prima pietra miliare intitolata “Doremi Fasol Latido”. L’opera sublima sette episodi liquidi, multiformi e cangianti dai quali viene palesata una straordinaria concretezza di base ereditata dal rock duro. “Time We Left This World Today” è un lungo trip, in apparenza ridondante, decantato dalla voce ipnotica dello stralunato leader Dave Brock. Questa caleidoscopica escursione cosmica pone in primo piano la straordinaria versatilità alle quattro corde del nuovo arrivato, caratteristica che giungerà a piena maturazione negli anni a venire. La sua firma compare anche nell’alienante pseudo-ballata “The Watcher”, successivamente rivisitata e ottimizzata dai futuri Motörhead. Un arpeggio progressivo di chitarra tesse una solida tela intorno ad un frastagliato muro di sintetizzatori affrescato ad hoc da Michael Davies e Del Dettmar, geniali nel proiettare strambe iconografie che assumono una forma definita nella sognante “Space Is Deep”. “Down Through The Night” pone in risalto l’anima acustica del gruppo; ma è sufficiente immergersi nel pieno delirio catartico evocato da “Brainstorm” per lasciarsi stravolgere dalla straordinaria prosa musicale vergata da questi hippies. Il cupo intermezzo “One Change” prelude ad una violenta deflagrazione occorsa nei remoti abissi spaziali a causa del devastante riff metallizzato di “Lord Of Light”, conturbante e meraviglioso crescendo che toccherà pinnacoli inauditi nel mastodontico doppio live album “Space Ritual”. Allacciate le cinture, si parte!