HAWKWIND – Hall Of The Mountain Grill

Pubblicato il 18/09/1974 da
voto
8.0
  • Band: HAWKWIND
  • Durata: 00:41:51
  • Disponibile dal: 06/09/1974
  • Etichetta:
  • United Artists Records

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Quarto studio album per gli space rocker Hawkwind, nei primi anni di carriera irrefrenabili e pervasi dal sacro fuoco creativo, che permetteva loro di sfornare nuovi album a getto continuo (ben quattro fra 1970 e 1974). Avviene un importante mutamento nella line-up rispetto al precedente full length, con l’ingresso di Simon House a sintetizzatori, violino elettrico e mellotron e la contemporanea uscita di scena di Robert Calvert, che rientrerà in seno alla band a partire da “Astounding Sounds, Amazing Music”. “Hall Of The Mountain Grill”, il cui titolo scaturisce da un omaggio tanto alla famosa composizione orchestrale “In The Hall Of The Mountain King”scritta dal norvegese Edvard Grieg (titolo originale: “I Dovregubbens hall”), quanto a un più prosaico un bar-caffetteria sito in Portobello Road e chiamato “The Mountain Grill”, non solo conferma le doti già messe in mostra, ma si permette di esplorare nuovi orizzonti, diventando per i posteri uno dei dischi-simbolo della discografia dell’act anglosassone. Vi sono qua dentro idee ed esperimenti che andranno a costituire la spina dorsale di molte frange di musica dura, a cominciare dai synth striscianti dell’apertura affidata a “The Psychedelic Warlords (Disappear in Smoke)”, simbolo di questi pensieri sguscianti, in rimodulazione costante su basi sbilenche, iniettati nella musica rock dagli Hawkwind. I singoli strumenti salgono e scendono nel mix, le chitarre soavi e molto aperte, il basso importante, molto presente, anticipatore in qualche modo dei terremoti che seguiranno nei Motörhead. Il brano parte con una sua linearità e scorrevolezza, per perdersi quindi in mille rivoli di psichedelia, scontri di effetti, volute di sassofono, giri concentrici progressivamente sempre più obnubilanti. L’esplosione conclusiva traghetta senza soluzioni di continuità in “Wind Of Change”, che si inarca in ricami di violino portatori di un inguaribile senso di abbandono. La percezione del reale è, a questo punto, un ricordo, sepolto definitivamente da “D-Rider”. La voce si fa tormentata, persa fra malinconia drogata e rimembranze di chissà cosa, mentre i sintetizzatori sotterrano la componente più elettrica e melodie orientali annacquano l’anima rock del combo, la quale risale rabbiosa all’attacco dei refrain, a ribadire comunque l’inquietudine insita in una formazione che poteva perdersi nella calma come risalire la corrente e attizzare un fuoco sempre presente sotto la cenere di uno spleen acuto. Il senso di vastità indotto dagli Hawkwind era impressionante, lo stesso si può dire della loro capacità di espandere la musica in soundscape vertiginosi e impalpabili. Passato il poco significativo excursus in campo jazz-rock sessantiano di “Web Weaver”, si passa al secondo lato con la movimentata “You’d Better Believe It”, brano hard rock esagitato, ‘infastidito’ da armonie bizzarre, disturbi di ogni sorta, che deformano in ogni angolo quella che sarebbe una cavalcata hard rock fatta e finita. Ancora sinfonie nella title track, basata su un elegante giro pianistico introduttivo, che sfocia in un maiuscolo dialogare d’archi, pregno di epica maestosità e spirito d’avventura verso un altrove immaginifico. Sprazzi di quiete, quindi, prima della traccia che, col senno di poi, segnerà il primo embrione del Motörhead sound. Il tornado che di lì a breve travolgerà tutta la scena musicale dell’epoca ancora non lo si può intuire, vero, ma bastano la voce di Lemmy, e il suo basso ispessito e voluminoso, per far emergere barlumi del suono che verrà. “Goat Willow” è un breve intermezzo, prima di un altro calibro pesante: “Paradox” spinge al massimo su ritmi irregolari e potenti, arrangiamenti non convenzionali e ricerca della nota siderale, perfetta. Di nuovo Lemmy appone il suo sigillo con un proliferare di note di basso massicce e ingombranti, vero scoglio di durezza in un mare lisergico. Si chiude, dopo poco più di quaranta minuti, un album affascinante e ancora oggi per molti versi indecifrabile, manifesto dell’inestimabile potere suggestivo degli esploratori dello spazio profondo a nome Hawkwind.

TRACKLIST

  1. The Psychedelic Warlords (Disappear in Smoke)
  2. Wind of Change
  3. D-Rider
  4. Web Weaver
  5. You'd Better Believe It
  6. Hall of the Mountain Grill
  7. Lost Johnny
  8. Goat Willow
  9. Paradox
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