HAWKWIND – Space Ritual

Pubblicato il 17/05/1973 da
voto
8.5
  • Band: HAWKWIND
  • Durata: 00:78:42
  • Disponibile dal: 11/05/1973
  • Etichetta:
  • United Artists Records
  • Distributore: Universal

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Una premessa è d’obbligo: i live album sono spesso croce, più che delizia, per i fan. I motivi sono svariati: livello spesso non eccelso della produzione, la sensazione che l’effetto greatest hits nella scelta dei brani possa coprire magagne o limiti, e infine, personalmente, la predilezione per l’esperienza live diretta, compatibilmente con band non ancora sepolte in senso metaforico o, ahimè, letterale. Ci sono però almeno due campi di eccezione, a questa posizione: il primo sono le eccellenze rappresentate da tanti live album partoriti, indicativamente, dai primi anni ’70 a metà anni ’80, diciamo con il “Live After Death” degli Iron Maiden a rappresentare l’ultimo, splendido esempio di questa categoria. E il secondo, invece, il dovuto apprezzamento per quelle band per le quali la dimensione live era intrinseca già nella costruzione dei brani in studio. Ed ecco perché “Space Ritual” degli Hawkwind, perfettamente piazzato a cavallo di entrambe le categorie, rientra tra gli album che, chi vi scrive, trova imperdibili e irrinunciabili. Anno 1972: gli Hawkwind hanno finora pubblicato tre album, uno più bello e fondamentale dell’altro; sono un’istituzione dell’underground inglese e sembrano ormai consolidati su una formazione considerata oggi ‘classica’, che vede il leader ed eterno membro Dave Brock affiancato da Nik Turner al sassofono, Dik Mik alle tastiere, Simon King alla batteria, il carismatico scrittore Robert Calvert quale cantante dal vivo e infine un giovane, promettente ed esplosivo bassista: Lemmy Kilmister. Che cos’era, al tempo, un concerto degli Hawkwind? Beh, il vostro umile recensore ha avuto il piacere di vederli suonare ultrasessantenni qualche anno fa, e vi assicuro che l’occhio vitreo e il cervello in acido sono stati comunque i due risultati più scontati e diffusi fra tutti gli astanti; aggiungete, quindi, la location spazio-temporale, la presenza effettiva di acidi in corpo alla band e al pubblico, le non poco rilevanti coreografie e tette di Stacia Blake ad accompagnare la musica, per avere solo una vaga idea di quale evento lisergico potesse essere. Si parte con “Earth Calling”: il pianeta Terra chiama, ma l’astronave Hawkwind non risponde più, è già fuga interstellare alla fine di questa breve intro. E non per nulla, su un tappeto ossessivo di basso e batteria, ecco “Born To Go”, nati per andare, appunto: via, via verso recessi sempre più remoti, nella notte eterna dello spazio. “Down Through The Night” sono, oltre alle parole che compongono il titolo successivo, le uniche coordinate in cabina di comando, e questo splendido brano introduce i primi, potenti vagiti del theremin e delle formidabili tastiere di Mik. “The Awakening” ci cala sempre più in un rituale, con l’evocativa voce di Robert Calvert a celebrare il sabba spaziale su un etereo e minimale tappeto nuovamente affidato ai trip di Mik Dik, come si ripeterà per altre quattro volte nel corso dell’album; sì, permetteteci una digressione rispetto alla sequenza dei brani per citare i fondamentali intermezzi, ossia “Black Corridor”, “10 Seconds Of Forever”, “Sonic Attack” e “Welcome To The Future”. Fondamentali perché la dimensione comunicativa, persino letteraria, era ed è centrale nei rituali della band: per introdurre i temi, trattati con assoluta profondità, e soprattutto le atmosfere dei brani a venire, quasi si trattasse, per Calvert, di rivestire il ruolo dello sciamano che, con esperienza, guida il suo discepolo nel viaggio al centro del suo cervello. Ed ecco che, quindi, qualche brivido commosso ci attraversa inevitabilmente al pensiero che “Sonic Attack”, in particolare, fosse scritta (e in altre occasioni anche recitata live) da Michael Moorcock in persona, il grande scrittore e mentore tematico della band, amico intimo del già citato Calvert;  del quale, oltre a consigliare la lettura, va sottolineato come si immergesse con serietà, nelle sue brevi comparsate sul palco, nel ruolo del Maestro di Cerimonia. “Lord Of Light” ha le movenze di quello che è probabilmente il pezzo più noto della band, ossia “Silver Machine”, ma l’assenza della voce roca ed effettata di Lemmy la rende un po’ meno evocativa. Chitarre grattate da alieni creano l’atmosfera di “Space Is Deep”, uno dei brani più belli ed epitomici della band, con una linea vocale che rimanda al Roger Daltrey più scarno. “Organe Accumulator”, con un curioso e rarefatto riff di sassofono, continua a trascinarci verso galassie lontane, mentre le scenografie del visual artist Bubbles, che notoriamente accompagnavano gli show del folle combo, ahimé possiamo solo immaginarle. Sì, perché come dovrebbe essere ormai chiaro, Space Ritual era un’esperienza emotiva e sensoriale a più livelli, che colpiva la vista quanto le orecchie; e stupisce pensare che si sia dovuto attendere una remastered edition del 2007 per avere il giusto e naturale compendio in dvd dell’esibizione. Ma qui ci basiamo sulla prima stampa, datata 11 maggio 1973, che ha i suoi limiti, riconosciuti poi dalla band stessa: qualche taglio, che verrà integrato nelle versioni successive, overdub qua e là per rendere omogenea la narrazione sonora, giacché le registrazioni provengono in realtà da due concerti distinti del dicembre precedente. Ma questo nulla toglie all’organicità complessiva. Potremmo tornare all’analisi track by track, in fondo ci siamo fermati dopo “soli” cinquantacinque minuti, e l’album è a circa due terzi di durata. Ma estrapolare altre tracce o singoli passaggi, sarebbe pura tassonomia: il basso è un propulsore interstellare sempre più potente, che spinge nello spazio la navicella con il prezioso aiuto della batteria costantemente in uptempo. I fraseggi della sei corde o della tastiera percossa follemente accompagnano il cantato ora onirico, ora affidato a cori evocativi, quasi che parte della band non sapesse ancora bene se partire: sono forse saluti reciproci? Non lo sappiamo. L’unica certezza è che dobbiamo abbandonarci, senza timore e senza timone perché Space does not care, space does not threaten/Space does not comfort.

TRACKLIST

  1. Earth Calling
  2. Born To Go
  3. Down Through The Night
  4. The Awakening
  5. Lord Of Light
  6. Black Corridor
  7. Space Is Deep
  8. Electronic No. 1
  9. Orgone Accumulator
  10. Upside Down
  11. 10 Seconds Of Forever
  12. 7 By 7
  13. Sonic Attack
  14. Time We Left This World Today
  15. Master Of The Universe
  16. Welcome To The Future
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