voto
7.0
7.0
- Band: HEATHEN
- Durata: 01:08:30
- Disponibile dal: 23/02/2010
- Etichetta:
- Mascot Records
- Distributore: Edel
Spotify:
Apple Music:
Qualche premessa d’obbligo. Gli Heathen sono famosi per due album di thrash metal tecnico usciti nel periodo fine anni ’80-primi anni ’90. Scioltisi nel ’92, di loro abbiamo (gradevoli) ricordi per quel lavoro, “Victims Of Deception” (1991), che fu di fatto il loro testamento. Non più. La reunion si è concretizzata nel corso degli ultimi anni (pubblicato un demo nel 2005) ed ecco arrivare nei negozi “The Evolution Of Chaos”, un album che è di assoluto valore, ma che non convince appieno. Della formazione originale del gruppo sono rimasti il cantante (molto dotato) David White e il chitarrista solista Lee Altus. Quest’ultimo si sfoga alla grande su questo lavoro essendo costretto a svolgere il ruolo di braccio destro di Gary Holt negli Exodus. Abbiamo scritto che l’album non convince pienamente, cercheremo dunque di spiegare il nostro punto di vista al riguardo: ci sono ottime parti, stacchi mozzafiato, partenze da brivido (“Fade Away”), ma non si riesce a scorgere un’identità in questo lavoro. Quel filo comune che leghi tutte le canzoni per delineare un profilo dell’intero CD. Nell’ora e otto minuti della sua durata (!) troviamo praticamente di tutto, complice anche la poliedricità di tutti gli strumentisti, cantante incluso. Possiamo quindi ascoltare pezzi tipicamente thrash come l’opener “Dying Season”, brano fantastico, fra i migliori del disco e sicuramente fra le migliori canzoni thrash dell’anno, molto carico e che faceva ben sperare, o come “Control By Chaos” (grande lavoro di Altus alla sei corde) ma anche la veloce “Bloodkult”. Ci sono poi pezzi più ragionati, melodici e lavorati (“A Hero’s Welcome”, canzone nazionalista che finisce in ballata e dedicata a coloro che servono l’America) ma anche come la lunghissima (11 minuti) “No Stone Unturned”, canzone interminabile e prevalentemente strumentale, una sorta di campionario delle capacità dei nostri. Il disco quindi, prodotto con suoni moderni, ben calibrati e di forte impatto, è una summa di diverse influenze che – ripetiamo, a giudizio di chi scrive – non hanno costruito un insieme coeso. A tratti, nell’ora di musica del disco, potrà sembrarvi di ascoltare gli Artillery, gli Exodus, i Testament, i Sacred Reich e gli Iron Maiden (sia per le chitarre sia per il cantante che sconfina anche in lidi classic). Per carità, tutte band di spessore, e infatti il disco prende un voto buono perché ha sicuramente molto da offrire (poteva essere sintetizzato vista l’eccessiva durata dei brani) ma lascia in bocca quel sapore amaro, come se vi trovaste in un ristorante molto rinomato ma alla fine il pranzo servito non sia stato del tutto all’altezza della sua fama.