
7.0
- Band: HEAVEN SHALL BURN
- Durata: 00:50:56
- Disponibile dal: 27/06/2025
- Etichetta:
- Century Media Records
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Preferendo, come previsto, la solidità delle certezze al brivido dell’ignoto, “Heimat”, il nuovo album degli Heaven Shall Burn, arriva puntuale tra noi, a cinque anni dal precedente “Of Truth and Sacrifice”, confermando la proverbiale costanza di pubblicazione del gruppo tedesco. Una costanza che si accompagna appunto a un altrettanto proverbiale immobilismo stilistico: il quintetto capitanato da Maik Weichert ha infatti ormai da tempo consolidato un linguaggio sonoro dal quale non pare proprio avere intenzione di deviare, se non in minimi dettagli.
A ben vedere, non gliene si può comunque fare troppo una colpa: dopo quasi trent’anni di attività, è anche naturale che la band abbia trovato uno stile ben definito e un approccio preciso alla scrittura e all’interpretazione. Nel caso degli Heaven Shall Burn, si può dire che una più marcata sensazione di autoreferenzialità sopraggiunga perché il gruppo ha da sempre un solo vero compositore, il suddetto Maik Weichert, il quale ha scritto pressoché tutto il repertorio della formazione, dall’EP “In Battle… There Is No Law” a oggi. Di conseguenza, non serve essere estremi conoscitori della carriera della band per accorgersi che ormai da qualche capitolo certi riff tendano a riaffacciarsi con leggere modifiche e che i pezzi si sviluppino e risolvano quasi sempre allo stesso modo.
La conseguenza più evidente di questo monopolio compositivo è insomma un inevitabile senso di déjà-vu che, specie negli ultimi dischi, si è fatto sempre più insistente. “Heimat” non fa eccezione, offrendo appunto riff che ogni tanto suonano fin troppo familiari e canovacci che riprendono meccanismi consolidati: il classico bilanciamento tra parti più brutali e oscure – per un ibrido a base di death-thrash e metalcore europeo vecchio stampo – e momenti di maggiore apertura melodica, come nella tradizione del melodic death metal svedese.
Se “Of Truth and Sacrifice” aveva almeno provato a smarcarsi con la struttura a doppio album e qualche intervento elettronico più azzardato (e non esattamente vincente), “Heimat” torna a una forma un po’ più compatta, priva di grandi orpelli e tutto sommato tesa alla sintesi. La tracklist, ridotta e un po’ più digeribile, ripropone in sostanza quella formula che il gruppo perfezionò ai tempi del magistrale “Deaf To Our Prayers” e che è poi stata ribadita, con poche variazioni, su tutti i capitoli successivi.
Durante l’ascolto, aperto dalla solita familiare intro nostalgica, ci si imbatte così in un episodio particolarmente duro come “My Revocation of Compliance”, il quale non avrebbe sfigurato su “Deaf…” o su “Iconoclast”, ma anche in spunti più ariosi e orecchiabili, nei quali la vena melodica di marca vecchi In Flames arriva a condurre tutto il pezzo (“Empowerment”, “A Whisper from Above”).
Nel mezzo, qualche episodio sui generis, vedi l’opener “War Is the Father of All” – che nel riffing strizza l’occhio ai Machine Head di una volta in varie occasioni – e il solito tributo ad amici e/o vecchie influenze. In questo senso, dopo avere coverizzato vecchie glorie come Edge Of Sanity, Bolt Thrower, Paradise Lost o Blind Guardian, oggi gli Heaven Shall Burn non guardano al passato remoto del metal, preferendo tirare fuori dal cilindro una loro versione di “Numbered Days” dei Killswitch Engage, con tanto di Jesse Leach al microfono per un duetto con Marcus Bischoff. Scelta che ad alcuni potrebbe apparire bizzarra, essendoci appunto ormai abituati a omaggi di altro stampo, ma i tedeschi hanno da sempre un legame con il gruppo statunitense, visto che il bassista Mike D’Antonio ha pure disegnato il logo HSB.
Guardando alla tracklist nel suo insieme, si può insomma dire che “Heimat” sia un’opera sorretta da un songwriting pratico e sicuro, quasi un atto di fedeltà a se stessi e al proprio percorso artistico. Gli sviluppi e le alternanze tra brani più aggressivi e momenti più melodici seguono linee ben note a chi conosce il repertorio della band, ma non per questo scadono nella più grigia monotonia. Nonostante alcune strizzate d’occhio autoreferenziali, gli Heaven Shall Burn riescono infatti anche questa volta a evitare veri momenti di stanca, puntando su un impatto energico e su un equilibrio nella scaletta che garantisce una certa vivacità, con episodi come “Those Left Behind” o “Ten Days in May” che spiccano nella seconda metà del disco.
In definitiva, “Heimat” è l’ennesima dichiarazione di intenti di una band che ha da anni trovato la propria voce, ha raggiunto una propria stabilità (con tanto di enorme successo in patria) e che evidentemente non ha più motivo di cercare altro.
È un disco che guarda dritto negli occhi il passato degli Heaven Shall Burn e lo ripropone con la stessa convinzione e potenza di sempre, senza preoccuparsi di rincorrere le mode o reinventarsi a tutti i costi. Così, “Heimat” si rivolge soprattutto ai fan più fedeli, offrendo un patto di coerenza e sudore che Weichert e compagni sanno onorare con la loro consueta forza d’esecuzione.