8.5
- Band: (HED) P.E.
- Durata: 00:52:12
- Disponibile dal: 22/08/2000
- Etichetta:
- Jive Records
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Gli (Hed)P.E. nacquero a Hunington Beach (California) intorno al 1994, quando Jared Gomes conobbe il chitarrista Wes Geer e cominciò a frequentare la rigogliosa scena punk di Orange County. Create le ‘stage persona’ di “M.C.U.D.” (MC Underdog) e Wesstyle, i due reclutarono il chitarrista Chizad, il bassista Mawk, il batterista B.C. Vaught e DJ Product © 1969. La band, col suo esplosivo mix di rap, punk e metal, riuscì ad ottenere un contratto con l’etichetta hip hop Jive records, per la quale pubblicò il self titled “(Hed)P.E.” nel 1997, che a causa di scarse vendite e l’incapacità di ripagare il lauto anticipo offerto alla band si tradusse letteralmente in una trappola discografica. Erano gli anni d’oro del nu-metal in ogni caso, e gli (Hed)P.E. erano una forza della natura sul palco e fuori, tanto da risultare completamente ingestibili per una normale routine di tour: nessuno presto volle averci a che fare, ma il ‘buzz’ intorno a loro gli assicurò un brano nel tributo ai Black Sabbath “Nativity In Black II”.
Al momento di entrare in studio per il secondo album, la loro fan base era già affezionatissima ad un vero e proprio culto, e ci si aspettava che il gruppo venisse proiettato verso il successo di Incubus e Limp Bizkit. Ingaggiato il producer Machine alla console, gli Hed smussarono gli angoli della propria proposta con una produzione scintillante, inserendo influenze rock ed optando per un songwriting (relativamente) più elementare ed assimilabile. La differenza tra gli Hed e il resto dei gruppi nu-metal è però incarnata nel frontman, un vero punk nell’attitudine ma un MC capace al microfono, totalmente immerso nella cultura hip hop e nel suo sporco immaginario, nel senso di crudo, urbano, divertente, sincero, gangsta, violento e sessista. Un uomo connesso a East Bay Ray dei Dead Kennedys ma innamorato di Bob Marley, con una conoscenza profonda di Black Sabbath, N.W.A e Sublime.
Parliamo di “Bartender”, primo singolo ed hit indimenticata della formazione: nel più puro stile hip hop, il ritornello incorpora una rielaborazione di “I Just Want To Celebrate” del gruppo soul / rock psichedelico Rare Earth. Gli Hed sono quindi talmente ‘dentro’ il meccanismo, operando nella stessa maniera in cui i beatmaker costruiscono un pezzo con dei sample di altre canzoni. Allo stesso modo, in “Boom (How You Like That)” viene citato un successo recente di UNKLE con Badly Drawn Boy, in “Crazy Legs” sentiamo la celebre “La Di Da Di” dei rapper Dough E. Fresh e Slick Rick, “Crazy Legs” scippa l’intero ritornello a “Hypnotize” di Notorius BIG… e parliamo solo dei ‘sample’ più espliciti. E’ questo il livello inedito in cui si muovono gli (Hed)P.E., che nonostante il suono più radiofonico assicura una street credibilty che il pubblico underground non dimentica, andando di fatto a sorreggere il brand fino ai giorni nostri. Negli incastri di Jared inoltre c’è un flow che i colleghi si sognano, con la capacità di passare in maniera fluida e credibile a passaggi melodici, spoken word psicotici, urla sguaiate e sing along.
Le prime cinque tracce riempiono ancora oggi le playlist di genere e sono immortalate come veri e propri classici, tanto che val poco la pena citarle. Andiamo invece a ricordare la perfezione nu-metal anni 2000 di “I Got You”, con un ritornello che sembra generato per l’airplay radiofonico. Ripercorriamo il lavoro sulla strumentale di “Boom”, tra i riff bouncy che farebbero ingelosire Wes Borland e i beat di DJ Product. Vi ricordate invece del reggae di “Swan Dive” e delle sue tendenze suicide? Parliamo degli scratch su “Steve” e delle chitarre acustiche della rilassata “The Meadow”? Il secondo disco degli Hed è molto di più dei singoloni riempipista e delle collaborazioni con Serj Tankian e Morgan Lander; “Broke” infatti mostra una band che scopriremo essere all’apice delle proprie potenzialità, immortalata per una sola volta in maniera scintillante, senza quel desiderio competitivo di aggredire la Billboard chart che avevano i colleghi e per questo più verace, trasparente, reale. Probabilmente troppo reale e sboccata, visto che, andando a vendere ‘solo’ 250mila copie, Jive forzò la mano verso un suono davvero commerciale in “Blackout” (2003), ripudiato dal gruppo nella nuova e grezzissima via ‘G-Punk’ dei dischi successivi. Un motivo in più per apprezzare questa splendida fotografia intitolata “Broke”, che immortala il momento in cui il nu-metal trovò i propri Motley Crue.