7.5
- Band: HELHEIM
- Durata: 00:41:00
- Disponibile dal: 20/06/2025
- Etichetta:
- Dark Essence Records
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Idea non convenzionale, quella sottostante la composizione del nuovo album degli Helheim, il dodicesimo di una storia che affonda le radici negli anni ’90 e nel vivace sottobosco metal norvegese dei tempi. Per la realizzazione di questo disco i due principali compositori, V’gandr e H’grimnir, si sono divisi a metà il lavoro in maniera rigorosa. La prima metà (“HrabnaR”) è appannaggio di H’grimnir, integralmente, per tutte le scelte di scrittura e di arrangiamento; la seconda (“Ad vesa”) è invece il frutto della mente di V’gandr. Quattro canzoni a testa, con le due parti esploranti a loro volta tematiche differenti, così che l’esperienza dovrebbe essere quella di ascoltare due album in uno.
Gli Helheim arrivano a questa pubblicazione col vento in poppa, al termine di un percorso di successo che li ha visti solcare instancabilmente i mari del viking/black metal, dei quali rappresentano tutt’oggi uno dei suoi più credibili interpreti. Una forma sonora che nel loro caso è stata affinata e modificata da un’uscita all’altra, pur non uscendo mai nettamente dai confini stilistici del settore.
Si sono quindi intervallati dischi dallo spirito più melodico e progressivo, altri più aspri e belligeranti, tenendo un solidissimo filo conduttore a unire gli uni agli altri. Interpreti della tradizione, senza mai scadere nel piatto riciclo o nell’impoverimento della fonte del songwriting.
L’ultimissimo periodo aveva visto un recupero di asprezza e sprezzanti umori black metal, in un bilanciamento con la melodia che peraltro non ha mai puntato a clamorosi stravolgimenti di una vincente formula consolidata. L’esperimento di dividersi nettamente la composizione, a conti fatti, non rappresenta un punto di svolta particolare, semplicemente un modo lievemente differente di affrontare la medesima materia.
“HrabnaR / Ad vesa” sa di Helheim in ogni singola nota, perfettamente coerente al passato prossimo della formazione norvegese. Se effettivamente si nota uno stacco tra prima e seconda metà della tracklist, non è che questa circostanza provochi bruschi scossoni e forse, se non fosse stato dichiarato come il gruppo abbia proceduto in fase di composizione, nessuno o quasi avrebbe colto che la mano dietro le singole canzoni fosse completamente differente.
In ogni caso, in linea con quanto affermato nelle note di presentazione, la porzione di tracklist denominata “HrabnaR” vede una prevalenza dell’attitudine più barbara del gruppo: i tempi sono incalzanti, le chitarre aggressive e un palpitante pathos guerriero si staglia fin dai primi passi dell’opener “Geist”. Lo screaming è particolarmente velenoso e ‘old-school’, ma è non l’unica voce a rappresentare i sentimenti espressi dalle canzoni.
Infatti, nonostante una certa ruvidezza dominante, l’epos degli Helheim è attraversato da molteplici ramificazioni, veicolate attraverso più docili voci pulite, a richiamare anche la tradizione progressive del metal estremo norvegese. L’alternanza di sprazzi di violenza e morbide riflessività nobilita un brano dalle cadenze più intimiste, quiete e ipnotiche come “Sorg Er Dødens Spade”, perfettamente esemplificativo di quel tono colto, tradizionalista ma sfaccettato che ci è sempre sembrato facile associare all’operato dei quattro di Bergen.
C’è un vago intrecciarsi di sperimentazione e amore per le proprie crude radici a sostenere l’operato della band, in fondo attirata, come un possente magnete, da concetti sempre uguali, eppure in qualche modo piegati ad esigenze diverse ad ogni album: il fragore del black metal si stempera quindi in melodie dai toni più caldi, corposi e avvolgenti, dando emozionalità a pezzi come “Livsblot”, in grado sia di martellare con veemenza, che di trasmettere un ardore dal sapore mistico.
Con “Ad vesa” i sapori black metal si affievoliscono in parte, dando così maggiore spazio a partiture più oblique e ricercate, sia strumentalmente che sul versante vocale. A sprazzi ci si avvicina al miglior avant-garde norvegese degli anni ’90, richiamato specialmente per alcune linee vocali un po’ spiazzanti, come la magniloquente coralità di “Fylgla”: non un orpello messo lì tanto per fare qualcosa di strano a tutti i costi, quanto una soluzione affine ad uno spirito più libero e aperto nelle scelte compositive, come nei suoni.
Anche in questa seconda metà tracklist non scompaiono strappi più velenosi, a dialogare con andamenti dai ritmi meno prevedibili e giri chitarristici estroversi (il finale di “Hamingja”). V’gandr, rispetto a H’grimnir, si fa tentare da qualche tocco più variegato, pur tenendosi nel consolidato filone viking/black metal, il tutto mantenendo una forte scorrevolezza di fondo, tratto comune al disco nella sua interezza.
Spingendo ulteriormente sul fronte progressive, “Ad vesa” avrebbe potuto essere ancora più speciale e brillante di quanto già non sia. Ed è forse in un coraggio compositivo espresso solo parzialmente che possiamo trovare l’unico vero difetto del disco: in definitiva è ‘solo’ un altro ottimo album a firma Helheim, ma non va a discostarsi in maniera significativa dai suoi immediati predecessori, gradevolissimi quanto piuttosto simili nell’impostazione come nel livello qualitativo. Siamo in ogni caso dinnanzi all’ennesimo ottimo capitolo di una discografia dalle pochissime zone d’ombra.