7.0
- Band: HELL (USA)
- Durata: 00:49:49
- Disponibile dal: 11/08/2017
- Etichetta:
- Sentient Ruin
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Si concede così, orribile, al disfacimento, il nuovo immondo parto delle turbe di M.S.W., unica mente e uniche braccia dietro l’aberrante concetto sonoro a nome Hell. Un altro disco eponimo, come l’esordio, come quasi lo erano anche il secondo e terzo full-length (“Hell II”, “Hell III”). Richiuso nel suo autoisolamento, rancoroso verso il prossimo, schiavo delle proprie ansie e disillusioni, il musicista di Salem, Oregon, perpetra un massacro al rallentatore a dir poco disturbante. Feedback, rantoli, distorsione voluminosa, una dilatazione dei tempi sfinente, una dedizione alla negatività formidabile; questi gli ingredienti per uno dei dischi più pessimisti e disagevoli dell’anno. Si ritorna a respirare l’aria miasmatica e impregnata di drogata disperazione dei peggiori (in senso buono in questo caso) Eyehategod, quelli di “Take As Needed For Pain” e “Dopesick”, depurati di scatti hardcore che, in questo caso, parrebbero aperture angeliche. Invece non ve ne sono. Si stramazza, avvelenati dall’odio emanato e dalla perseveranza nel ritoccare ogni suono di una patina aspra, amarissima, fossero anche le tese armonie che si fanno strada negli andamenti lievemente più ariosi. Assistiamo sgomenti a un torturare di strumenti che mira a estrarre da ognuno i suoni più deplorevoli che siano in grado di produrre. Il basso sa di ruggine grattata via con unghia malaticcia da un eroinomane, la batteria scandisce l’agonia di un moriente, le chitarre si gonfiano in bubboni giganteschi, implodono su se stesse, rilasciando lancinanti rumori che si sovrappongono e saturano ogni spazio. Anche se possono comparire isteriche sferragliate black metal (“Helmzmen”), oppure marce sabbatiche alla Electric Wizard (“Machitikos”), il senso di pressione non si allenta quasi mai, se non nel gelido canto funebre di “Seelenos”. Manipolazioni infestano e distorcono una voce che già così com’è, nuda e cruda, fa spavento e che sottoposta ad altre cure per esaltarne la portata distruttiva, assume una natura ancora più deviata. “Wandering Soul”, inframmezzata di sample farfuglianti, rappresenta la colonna sonora di un suicidio in diretta, filmato con meticolosa osservanza per tutte le fasi della tragedia. “Inscriptus” puzza di funeral doom andato a male, una litania che ci fa sbriciolare la terra sotto i piedi e sprofondare inesorabilmente negli Inferi, così ben tratteggiati nell’orgiastica violenza della copertina. Le confabulazioni insensate fra noise e drone che contagiano a volte le tracce rendono particolarmente ostico l’ascolto, assai improbo a maggior ragione quando le durate si allungano, toccando nella mastodontica “Victus”, oltre dodici minuti di dolore, il massimo limite espressivo. Qui l’inghiottimento in stati comatosi da cui risveglio non è concesso ci fa raggiungere punte di densissimo terrore, l’uso dell’acustica a intagliare il rumorismo non porta sollievo, semmai acuisce la sensazione di essere in un posto brutto e inospitale, impossibile da lasciare. Né possono liberarci le arie sinfoniche occupanti un buon terzo di canzone, piuttosto una sottolineatura della nostra sconfitta finale. In questo campo preferiamo per ora quei nichilisti imbevuti di sottile romanticismo dei Thou, gli Hell arrivano ad essere così soffocanti da intimidire, chiedere pietà e allontanarci per salvare quel poco di positività rimastaci nell’animo. Per chi vede nel metal estremo il veicolo prediletto di cattiveria e disperazione, val la pena aggiungere mezzo punto o uno intero alla valutazione numerica.