7.5
- Band: HELL (USA)
- Durata: 00:41:07
- Disponibile dal: 11/07/2025
- Etichetta:
- Sentient Ruin
Dopo qualche anno un po’ sottotraccia per i suoi Hell, costellati solamente di uscite minori e interlocutorie, M.S.W. è ritornato sugli scudi nel corso del 2025 con un buon album collaborativo assieme all’amico e fido collaboratore A.L.N., la mente di Mizmor. Il loro “Alluvion”, uscito sotto il nome sia degli Hell che di Mizmor, ci è piaciuto pur non suscitando in noi chissà quali entusiasmi, ripercorrendo senza grandi aggiunte il catalogo di spossante afflizione, rabbia e frustrazione che, ognuno alla sua maniera, questi due artisti sono riusciti a veicolare nel corso degli anni.
Adesso arriva anche un nuovo album in piena autonomia degli Hell, realtà tra le più sordide, pessimiste e disperate del sottobosco metal statunitense: un nome passato dalle fogne più torbide dell’underground a rappresentare un discreto culto tra i seguaci dello sludge/drone/doom più efferato. Con giusta ragione, perché quanto a lacerante odio in slow-motion, assieme appunto a Mizmor, o a personaggi come i Thou, The Body, Dragged Into Sunlight, è difficile trovare qualcosa di così estremo, privo di speranza, aspro e lacerante. Una proposta, quella di Hell, a nostro avviso finora limitata da un fiero immobilismo, che ne faceva un oggetto assai urticante ma stolidamente fermo su alcuni concetti chiave, perpetrati allo sfinimento. Tutto molto interessante eppure, a differenza di quanto formulato dal collega A.L.N, lievemente inespresso, vuoi anche per uscite fitte e impostate sempre secondo le medesime regole del gioco.
“Submersus” non stravolge questi dettami e non va così lontano neanche dai contenuti di “Alluvion”, per la parte lì di competenza di M.S.W., e nonostante ciò dà un pizzico di slancio a un progetto divenuto fin troppo restio ad uscire dalle sue zone di comfort. Slabbrato, rugginoso, pericolante e aspro oltre ogni dire, “Submersus” fa subito intendere di voler far male, proprio nel profondo, a ogni singolo individuo che provi a ragionarci assieme, dando a intendere che la carica d’odio di chi l’ha scritto sia anche stavolta tracimante, veramente al di là di ogni umano limite.
Tonnellate di feedback, rumore, pece in note si riversano allora su di noi, sommergendoci, unendo lo stato di degrado dello sludge americano a quella luttuosità sconfortata che certo extreme metal inglese è riuscito a produrre nel corso degli anni – primi Electric Wizard, i Conan più abbruttiti, cose simili.
Hell va in effetti ancora oltre, in questo caso specifico sfociando in una selvaggia carneficina, solo svolta di prevalenza al rallentatore, un po’ ostentando minimalismo, un po’ distorcendo completamente vaghi sentori di armonia in sottofondo. Un’operazione che avvicina ulteriormente l’operato di questo tormentato musicista a quello delle produzioni di Mizmor, stavolta vicino stilisticamente oltre che concettualmente.
I quasi dieci minuti di “Hevy” sanno già di parziale punto di svolta rispetto al passato. Si tratta di una composizione a suo modo sfaccettata, giocata sì su una rabbia acida, sconvolgente, ma dove hanno modo di sfogarsi sortite strumentali di varia tipologia. Gelidissime armonie di fondo si insinuano in cascate di feedback e rumore, alimentando una negatività che sa essere meno uniforme del consueto.
Vi è sempre un buio impenetrabile nella mente e nel cuore di chi questa musica la scrive e la suona, mentre i modi in cui essa è veicolata prendono pieghe a volte persino ariose, oppure selvagge e quindi dotate di un gradito dinamismo.
Un basso tremolante di dolore in primo piano, i muri di distorsione al rallentatore, la voce straziata, rimangono architravi di un progetto che si nutre del peggiore sludge/doom e ne estremizza i connotati; ciò nonostante, ci sono aggiunte e sottolineature che per una volta lo fanno uscire dalla sua sporca nicchia, almeno parzialmente. L’aria perennemente miasmatica si miscela ad altre fragranze, altrettanto insalubri, che hanno però il merito di dare singolare vitalità alle tracce; esse sono allora meno ferme sui dettami di partenza, si propagano ora svoltando verso un bieco black metal, ora dissolvendosi verso l’ambient-drone (“Gravis”, con interventi di voce pulita che sanno proprio tanto di Mizmor).
Alcuni momenti rimangono ancora fin troppo asfittici e richiusi su se stessi (l’ostico avvio di “Mortem”), ponendosi come uno scoglio davvero difficile da aggirare durante l’ascolto: ma è pur vero che questo modo di essere rappresenta una fetta importante dell’identità di Hell e smussarne i toni finirebbe per annacquarne la potenza espressiva.
L’evoluzione stilistica rimane, chi ha passione per lo sludge/doom più torbido e greve saprà apprezzare queste rinnovate sfumature in seno ad Hell e godrà di un’esperienza d’ascolto oltranzista e baciata di ottima ispirazione.