7.0
- Band: HELLOWEEN
- Durata: 01:17:36
- Disponibile dal: 31/10/2005
- Etichetta:
- SPV Records
- Distributore: Audioglobe
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Mossa astuta per gli Helloween, che si ripresentano sul mercato dopo il ridicolo “Rabbit Don’t Come Easy” con un nuovo “Keeper Of The Seven Keys”. Avete sentito bene, e sicuramente lo sanno anche i polli, perché c’è da dire che la macchina promozionale si è messa davvero in moto in modo egregio, diffondendo la notizia e la pubblicità in modo capillare ed aggressivo. Chi scrive aveva già avuto modo di ascoltare per intero l’album nel corso della pre-listening session svoltasi in quel di Milano, e fin da subito aveva potuto constatare il rinnovato stato di forma della band. Ma è quel titolo che stona, così magniloquente, così evocativo, così maledettamente pericoloso. Perché è inevitabile che in questo modo le ‘zucche’ attireranno su di sé, come prima e più di prima, le ire degli integralisti, dei seguaci del primo corso della band, che non risparmieranno confronti e critiche. A detta della band, la scelta di tale titolo andrebbe ad attirare l’attenzione delle masse che, incuriosite, ascolteranno l’album e ne rimarranno colpite. E su questo potrebbero aver ragione, se non fosse per l’ottusità di alcuni (i più forse) nei confronti dei nostri. Come dicevamo la band punta molto su questo lavoro, e si sente subito che questo “Keeper Of The Seven Keys – The Legacy” suona decisamente diverso rispetto al recente passato della band. La produzione in primis risulta avvincente, cristallina, potente, a differenza dell’impasto plasticoso che caratterizzava il precedente lavoro. Qui tutto fila sicuramente in modo degno, a partire dall’opener “The King For A 1000 Years”, introdotta da un’intro parlata in perfetto stile Rhapsody+Christopher Lee, per poi sfociare in un pezzo dalla lunghezza notevole (quasi quattordici minuti di musica), ricco di sfumature e di colori. Forse dopo la metà il pezzo perde di attrattiva, a causa della reiterata forma dei riff e delle melodie, ma comunque si tratta di un pezzo sicuramente valido. Un basso pulsante introduce “The Invisible Man”, e i richiami ad un lavoro come “Better Then Raw” suonano in modo insistente. Sottotono la scontatella “Born On Judgement Day”, davvero troppo banale nelle melodie e negli intenti. Ma la sorpresa più simpatica è il singolo “Mrs. God” che, a partire dal saltellante e francamente ridicolo intro di chitarra, richiama la nostra attenzione per invitarci a cantare il ritornello insieme al bravissimo Andi Deris. Il ritornello è davvero ficcante, e dopo pochi secondi è quasi impossibile resistergli. Un po’ di metal stile HammerFall in “Silent Rain” sparato a velocità supersonica chiude più che degnamente il primo CD, e ci lascia il tempo di cambiare supporto. Pochi secondi e parte il secondo dischetto, anch’esso introdotto da un pezzo lungo. Stiamo parlando di “Occasion Evenue”, per chi scrive il miglior pezzo dell’intero lotto, introdotto da un ‘ripasso musicale’ di tutta la carriera delle zucche di Amburgo, sotto forma di vecchia radio che viene sintonizzata su vari canali, nei quali ovviamente suonano i pezzi che hanno reso celebre la band. La song è molto potente, molto ben costruita, e viaggia bene per i suoi undici minuti di musica, tra cori oscuri, vocals rabbiose e riff al fulmicotone. Ben altro discorso vale per la ballad “Light The Universe”, dove il buon Andi duetta con la brava Candice Night, molto brava nell’interpretare le linee suadenti della song. La song ad un primo ascolto non colpisce, ma dopo alcune attente analisi si fa sicuramente apprezzare. Il disco due procede abbastanza in modo omogeneo (con lo stile Helloween) e ci fa sussultare soprattutto in “Get It Up”, dall’intro davvero molto simile a “I Want Out” (guarda caso presente sul secondo famosissimo “Keeper”). Chiude degnamente “My Life For One More Day”, e ci lascia con un bel ricordo, e con la voglia di continuare ad ascoltare questo doppio CD. Chi scrive era partito abbastanza prevenuto nei confronti degli Helloween (vista la qualità degli ultimi lavori), ma si è dovuto ricredere alla luce dei fatti. Non parliamo di commerciale, di marketing, di confronti con il passato. Quelle sono altre storie, che lasciano il tempo che trovano, francamente. Se l’album è quantomeno buono, la band ha tutto il diritto di ricavarne quanto meritato, anche con piccoli trucchetti mediatici (ovviamente parliamo della scelta del titolo). Se poi l’album non piacerà, non verrà accolto, tutto qua. Nessuno ruba i soldi dalle tasche di nessuno…