9.0
- Band: HELLOWEEN
- Durata: 01:00:00
- Disponibile dal: 18/01/2013
- Etichetta:
- Sony
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Mamma mia che disco! E chi se lo sarebbe aspettato, dopo quasi trent’anni di onorata carriera, che gli Helloween fossero ancora in grado di registrare un vero e proprio capolavoro! Avete letto bene, poiché non abbiamo nessun timore ad affermare che “Straigth Out Of Hell” possiede tutte le carte in regola per essere definito un capolavoro, tra l’altro ben congegnato ed assortito. Sì, perché questo disco metterà d’accordo tutti i fan della band, essendo la perfetta sintesi dei grandi album del passato remoto e più o meno recente delle zucche più famose dell’heavy metal: le tredici canzoni presenti nel CD racchiudono la veemenza e l’irruenza di “Walls Of Jericho” e “Time Of The Oath”; le grandiosi melodie e i refrain irresistibili dei due “Keepers”; la classe di “Master Of The Rings” e, infine, la potenza e la rabbia di “Better Than Raw” e “The Dark Ride”. Le incertezze presenti negli ultimi due più che discreti dischi sono qui dimenticate: i Nostri riescono a confezionare un lavoro di assoluta grandezza, forti di una line-up ormai stabile e rodata (impressionanti le prove di Gerstner e di Dani Löble alla batteria soprattutto) e di una prestazione vocale di Deris di altissimo livello, forse una delle sue migliori di sempre con la band. Se qualcuno di voi che ha già ascoltato il disco dovesse ritenere queste parole esagerate, farebbe meglio a sentire con attenzione e sviscerare con spirito critico ogni singola traccia, per potersi rendere conto di come gli Helloween siano riusciti a rinverdire sia i propri fasti che quelli del power metal tutto – un genere, inutile negarlo, stanco ed abusato. Un album di questa caratura merita di essere analizzato dall’inizio alla fine soffermandosi su tutti i brani; sarebbe tremendamente ingiusto tralasciarne qualcuno. Si parte alla grande con il singolo “Nabatea”, dotato di un refrain irresistibile e perfettamente bilanciato tra potenza, velocità e melodia: sorprendenti le atmosfere centrali che richiamano la lunga suite “Keepers of The Seven Keys” del secondo capitolo dell’omonimo album. “World Of War” ricorda invece il mood ed il riffing di “The Dark Ride” (la canzone) e riesce ancora a fare centro con un ritornello sensazionale e parti solistiche di chitarra e basso che mozzano il fiato; “Live Now!” è, al contrario, un midtempo moderno e godibile. La seguente “Far From The Stars” è infarcita – a livello di melodie – di rimandi ai gloriosi tempi dei due “Keepers” e, oltre a ciò, è avvalorata da un ritornello semplicemente grandioso e da suoni debitori a “The Game Is On” nei guitar-solo; “Burning Sun” presenta ancora un ottimo Deris in un pezzo tra i più epici mai scritti dalla band. Con “Waiting For The Thunder” i Nostri, ancora una volta, svecchiano la propria proposta fondendo un groove molto moderno ed una fantastica melodia di piano con il loro classico stile; “Hold Me In Your Arms” è l’unico momento di relax del disco: questa è una riuscita ballata nel classico stile dell’era Deris, cantante mai troppo apprezzato e capace di raffinatezze vocali poco appariscenti ma di indubbio spessore. “Wanna Be Good” è il pezzo che non ti aspetti: qui gli Helloween stupiscono confezionando la loro “We Will Rock You”, un divertissement, diremmo, più che riuscito. Con la tiltletrack si lasciano alle spalle queste piacevoli evasioni e tornano con un pezzo classicamente power che, seppur molto canonico, riesce a divertire; con “Asshole” Weikath e compagni rallentano i ritmi, evidenziando una delle caratteristiche principali della band di Amburgo, ossia quella di passare con estrema naturalezza da atmosfere gioiose e piene di speranza ad altre cupe e cariche di rabbia – come in questo caso – dimostrandosi in entrambi i momenti insuperabili. Qui Deris abbraccia uno stile declamatorio e la band lo accompagna impeccabilmente. “Years” è Helloween old-style fino al midollo, la band pesca con furbizia le migliori melodie del proprio songbook e riesce a segnare un altro punto a proprio favore, con quello che ormai è per molti un suono datato o che, se proposto da altri gruppi, finisce inesorabilmente per annoiare. L’interessante “Make Fire Catch The Fly” ripropone soluzioni più moderne, mentre la conclusiva tirata ed arrabbiata “Church Breaks Down”, si presenta come un episodio piuttosto atipico per la band, per la sua natura volta verso la denuncia. Come dicevamo all’inizio “Straight Out Of Hell” è semplicemente uno dei migliori dischi della veterana band tedesca, in cui vecchio e nuovo convivono con naturalezza e la qualità è veramente alta. Un miracolo reso possibile da una formazione che dimostra di avere ancora la voglia e la capacità di stupire. Imperdibile.