
7.5
- Band: HELSLAVE
- Durata: 00:36:59
- Disponibile dal: 23/04/2021
- Etichetta:
- Pulverised Records
Spotify:
Apple Music:
Potremmo definire questo secondo album della formazione italiana un biglietto di sola andata per i più profondi e ostili angoli del death metal di matrice svedese. “From the Sulphur Depths”, primo disco degli Helslave su Pulverised Records, giunge a distanza di ben sei anni dal debut “An Endless Path”: il nuovo lavoro si presenta con una bella copertina dal fascino sinistro e luciferino, andando subito a sottolineare il carattere dell’opera, la quale si configura come una tortuosa traversata su sentieri che segnano per la band un passaggio alle vere origini del genere. Il suono slabbrato del pedale HM-2, una solida base groovy e delle melodie palpitanti sono gli ingredienti principali di un magma che avanza con grande compattezza lungo le dieci tracce del disco. Se il precedente album si presentava con un suono agile e spesso armonioso – fra At The Gates, Dark Tranquillity e i Dismember di “Hate Campaign” o di certi episodi di “Death Metal” – “From the Sulphur Depths” è carico di una ruvidezza, di un pathos oscuro e di una potenza distruttiva che guardano principalmente al death metal di Grave, primi Dismember e Interment. Facendo fede al titolo e alla copertina dell’album, caratteristica delle composizioni dei ragazzi di Roma sono l’alternanza di elementi abrasivi e fugaci spiragli di luce: il gruppo colpisce favorevolmente per l’abilità nel costruire armonie, assoli brillanti e cambi di tempo accattivanti, ma sempre con qualche elemento destabilizzante, sia esso un un ritmo percussivo o la suddetta profonda distorsione, che li rende obliqui e minacciosi. Di certo questo indurimento del sound è stato valutato e architettato con attenzione: non si può infatti dire che gli Helslave abbiano pescato a casaccio dalla tradizione del genere e attaccato alla cieca, in quanto i brani, oltre a essere prodotti egregiamente, risultano appunto ben distribuiti fra up e midtempo, con variazioni di mood e di approccio al riffing piuttosto netti. Un songwriting dinamico e tutto sommato ingegnoso, insomma, per un risultato finale che segna senz’altro un cambio di rotta nel percorso artistico della formazione, qui certo alle prese con un tipo di proposta che non dice nulla di innovativo, ma che sa differenziarsi nel mare di produzioni old school swedish death metal per la notevole scrupolosità in sede di composizione. Brani come “Last Nail in the Coffin” o “Rotting Pile of Flesh”, quest’ultimo forte anche di un breakdown in stile Bolt Thrower, troveranno sicuramente numerosi estimatori fra i veri fan del genere.