8.0
- Band: HERETIC CULT REDEEMER
- Durata: 00:58:59
- Disponibile dal: 21/04/2023
- Etichetta:
- III Damnation Productions
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Già protagonista di un exploit straordinario con “Liber Lvcifer II: Mahapralaya” dei Thy Darkened Shade, la Grecia torna a stretto giro al centro delle cronache black metal grazie al nuovo parto discografico degli Heretic Cult Redeemer, schiva formazione ateniese transitata su queste pagine una decina di anni fa in occasione del suo esordio omonimo, e che ci era invece sfuggita al momento dell’uscita del secondo full-length “Kelevsma” e di uno split con gli Amestigon. Oggi, sotto il vessillo della piccola III Damnation Productions, questi officianti delle arti oscure e del Male confezionano un grimorio del tutto ascrivibile alla scuola elitaria di Acherontas, Acrimonious e dei suddetti TDS, il quale ne ripropone la sensibilità diabolica in una veste ancora più pregiata e rifinita rispetto al passato.
Un’opera nel quale il black metal diventa il mezzo attraverso cui elevarsi sulla mondanità e raggiungere la catarsi, nell’ottica di un songwriting che ha anzitutto il compito di scorporare l’ascoltatore dalla realtà circostante e di immergerlo in una dimensione di incenso, rituali e zolfo, prima ancora che di aggredirlo come da consuetudine del filone. Ricerca e introspezione diventano quindi le parole chiave della tracklist e dell’intero approccio compositivo, con brani dal minutaggio corposo e dallo sviluppo articolato a susseguirsi come passaggi di una liturgia precisissima, la quale dimostra sì di ispirarsi alla scuola inconfondibile dei Deathspell Omega – come del resto avevamo constatato all’epoca di “Heretic Cult Redeemer” – ma anche di averne introiettato appieno gli insegnamenti per non limitarsi a svolgere il compitino come nel caso di altri discepoli meno talentuosi e personali. Una concezione avantgarde e ‘colta’ del genere che dà modo al quintetto di esplorare senza indugi tutti quegli anfratti espressivi e stilistici a portata della sua tecnica strumentale (decisamente elevata), evitando al contempo passaggi inutilmente contorti o non funzionali alla narrazione; l’incedere di “Flagellum Universalis” resta insomma scorrevole e carnale dall’inizio alla fine, in un flusso che dapprima svetta per la sua densità, i suoi particolari e le sue stratificazioni, con un lavoro di chitarra/basso ricchissimo di avvitamenti e di saliscendi umorali, e che in seconda battuta – una volta entrati in confidenza con la magniloquenza delle trame – evidenzia un’armonia tipica di chi guarda alla propria musica con lucidità e sentimento.
Passione è ciò che in effetti traspare da ognuno dei nove episodi della raccolta, i quali, sorretti dall’operato di un batterista tentacolare e scanditi dallo screaming di un frontman totalmente ‘dentro’ la ritualità deviata del concept, assurgono a veri e propri gioielli di black metal ellenico contemporaneo (sentire “The Woven Chords of Ecstasy” o “Grave Sophia – Breath of Night” per credere), posizionandosi giusto un filo sotto quelli offerti a gennaio dalla creatura di Semjaza. Di certo, vista la sua complessità intrinseca, non si può dire che “Flagellum Universalis” sia un disco da fruizione distratta o adatto a qualsiasi momento della giornata, ma ciò non toglie che si presenti come un lavoro audace e, a tratti, persino sorprendente.
Aspettate che le ombre della sera si allunghino, ritagliatevi un’ora di tempo e cimentatevi in questo ipnotico viaggio all’Inferno.