7.5
- Band: HEXTAR
- Durata: 00:26:44
- Disponibile dal: 17/04/2020
Spotify:
Apple Music:
Torniamo a parlare di ‘new wave of traditional heavy metal’ senza allontanarci da casa, trattandosi di una giovanissima formazione nostrana al 100%, evidentemente vogliosa di cominciare a farsi un nome all’interno dell’underground tramite il primissimo EP autoprodotto e intitolato con il nome della band stessa: molto semplicemente Hextar.
Il genere è un classicissimo heavy metal a tinte power alla vecchia maniera, con all’interno influenze che possono ricordare tanto gli Iron Maiden quanto i Riot, anche se riteniamo che l’entità più vicina alla musica degli Hextar siano i primi Helloween. Questo grazie alla evidente importanza data all’utilizzo delle melodie, luminose e coinvolgenti come ben si addice a un prodotto con questi rimandi, che stimolerà sicuramente la gioia di tutti coloro che sono spesso alla ricerca di quel pizzico di epicità, in grado di emergere senza eccedere valorizzando un songwriting più ispirato di quanto ci saremmo potuti aspettare ad inizio ascolto.
Quest’ultimo si presenta parzialmente acerbo a fasi alterne, un po’ come la gestione dell’insieme sonoro, ma sin da “Faceless Dame” appare chiaro che l’asticella qualitativa è stata settata sin da subito su livelli piuttosto alti: un brano veloce e cantabile, sulla falsariga di quanto è possibile udire in uno qualsiasi dei due “Keeper Of The Seven Keys”. Segue la più britannica e ‘maideniana’ “Heavy Words” con il suo ritornello, in cui l’ugola del buon Bruce Dickinson starebbe benissimo, senza nulla togliere ovviamente al simpatico e sgargiante Eddie Loreggian, prima della stoccata battagliera di una “Sword Of Damocles” più vicina allo stile tipico statunitense degli anni ’80. Poco dopo “One Bad Day” ci convince senza stupirci, ma è solo questione di tempo prima che “The Stand” si aggiudichi di potenza il premio per il pezzo più riuscito di questo pacchetto dalle dimensioni contenute: si tratta senza dubbio del brano più complesso ed articolato, in cui ad un’introduzione lenta e toccante seguono quasi sei minuti di metallarissima intelligenza compositiva, che con una naturalezza strabiliante riescono a riassumere quanto fatto in precedenza dagli Hextar e a proiettarlo direttamente verso un livello superiore. Non c’è storia, è questo il punto di partenza giusto da settare in vista di un potenziale primo full-length in grado di lasciare un segno in una scena competitiva come quella old school.
Trattandosi come detto di un EP autoprodotto non aspettatevi faville dal punto di vista della produzione, ma c’è anche da dire che ogni mese escono sul mercato album completi che in confronto sembrano registrati in una cucina a suon di padelle e mestoli, nonostante la presenza in linea teorica di una label a gestire la buona riuscita dei lavori. Anche per questo, siete caldamente invitati a rivolgere parte delle vostre attenzioni a questi ragazzi, che nel marasma di uscite inutili sono riusciti a conquistarci come difficilmente avremmo potuto prevedere.