8.0
- Band: HEXVESSEL
- Durata: 00:34:50
- Disponibile dal: 10/05/2013
- Etichetta:
- Svart Records
Spotify:
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La musica degli Hexvessel disarma e rende inermi. Già il precedente full-length “No Holier Temple” ci aveva fatto letteralmente tremare le ginocchia e rivoltare le sinapsi con il suo incredibile melting pot di folk, psichedelia, post-rock, acid rock e doom metal bucolico tutto tessuto insieme da un songwriting fuori dal mondo, e oggi ci tocca emozionalmente sopportare anche “l’espansione” a quel lavoro cui Kvohst e soci ci hanno preparato, ovvero un EP pensato per completare l’immaginario del suo full-length gemello, in cui gli Hexvessel ancora una volta ci schiacciano sotto il peso di un pathos emozionale che davvero poche altre band al mondo in questo momento riescono a sprigionare con dei suoni così flebili e delicati. Nel mondo degli Hexvessel è il songwriting a dominare tutto. Un songwriting talmente ispirato e disinvolto che la musica del gruppo scivola via come i gorghi di un ruscello, saltando da un genere all’altro o entro gli opposti umori di uno stesso genere con una disinvoltura disarmante, e con un flow inarrestabile, fluidissimo, e completamente privo di forzature. Momenti di malinconia irreparabile e dal taglio quasi funereo che ricordano da lontano “Solitude” dei Black Sabbath, vengono squarciati da gospel struggenti e luminosi di blues liquefatto e lisergico in cui brillano soprattutto il lavoro pazzesco svolto dall’Hammond e dal Fender Rhodes e dalla tromba di Jussi. Basta sentire la prima traccia “Masks of the Universe” entro la quale vivono sia i Jethro Tull, sia gli Hawkwind, sia i Faust, sia Tim Buckley, sia i Blue Cheer, tutti inseriti in una sognante e surreale cornice di folk da fiaba. E la magia ovviamente in ripete in ogni altro angolo del lavoro. Il violino e le voci di Kvhost sono assolute dominatrici del gioiello totale di folk esoterico che è “Superstitious Currents”, mentre “Tunnel At the End of the Light”, surreale fin nel titolo, più che una canzone appare una visione, ed è musicalmente talmente visionaria ed evocativa nella sua struggente interpretazione folk del “doom and gloom” da lasciare senza fiato. “Woman of Salem” (incredibile cover di Yoko Ono) e “BreakThe Curse” non interrompono il ciclo ma anzi mantengono il cerchio di splendore perfettamente chiuso, sigillato attorno ad un alone di perfezione e bellezza dalle fattezze inattaccabili. Catalizzatrice di tutto, la voce non di questo mondo di Captain Kvhost, autentico sciamano di un rito post-folk che ormai non trova più rivali in nessun luogo del presente. Autentica e semplice magia.