8.0
- Band: HEXVESSEL
- Durata: 00:56:01
- Disponibile dal: 07/09/2012
- Etichetta:
- Svart Records
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Il britannico Kvohst appare sempre più come una sorta di nuovo Krystofer Rigg. L’istrionico ed enigmatico vocalist inglese appare infatti essere il protagonista di una carriera sempre più esaltante e difficile da rincorrere. Sommo protagonista del black/extreme metal nordico più criptico e introspettivo (ricordiamo la sua militanza leggendaria in band culto come i Decrepit Spectre, nei Gangrenator, nei The Tragedians, nei Code, negli Israthoum, e soprattutto nei Dødheimsgard e Void), Kvohst, abbandonata ormai la terra d’albione in favore della meno sensazionalistica ma più misteriosa Finlandia, è infine approdato sulle spiaggie di quel post-rock e di quel post-punk nordico che sembra appartenere più al mondo dei sogni che della realtà. Ulver, Ved Buens Ende, Guapo e Coil, ma anche Dead Can Dance, Wovenhand, Current 93 e Unto Ashes sono solo alcuni degli indicatori essenziali per capire la parabola artistica di Kvohst, ma il Nostro musicista sta anche ampiamente dimostrando che la sua espressione artistica non è tanto votata alla sperimentazione quanto piuttosto alla intepretazione del suo stesso subconscio, e questa ha dunque generato un corollario di suoni sì inafferrabile e inaudito, ma anche stranamente familiare e “comprensibile”. Nella sua esplorazione del subconscio, Kvohst ha come generato della musica che non avevamo mai sentito ma che sapevamo esistesse da qualche parte… dentro tutti noi. Dopo il miracolo Beastmilk – in cui Kvohst ha omaggiato la disperazione abrasiva del post-punk inglese dei Joy Division e dei Killing Joke – è giunto dunque il momento di analizzare il suo progetto attuale sin ora più sviluppato e compituo, ovvero la compagine neofolk post-psichedelica che si fa chiamare Hexvessel. “No Holier Temple” è il secondo magnifico album di questa misteriosissima band, che oltre che da Kvoshst è composta da altre entità, da quanto si apprende celebri nell’underground metal finlandese, ma mai pubblicamente confermate. “No Holier Temple” è un lavoro crepuscolare e remoto, in cui il doom metal della prima ora (Candlemass, Count Raven e Blue Cheer) viene denudato di quella nube narcotica e rivestita dalla modernità della musique concrète e del post-rock più abissale e dannato che si possa concepire. Tutti gli anni Settanta vengono trascinati da Kvohst e soci in una sorta di terra di mezzo spaventosa, in un crepuscolo di retaggi folk e roots neri come una notte lunga quanto la vita stessa. I Pink Floyd, i Jethro Tull, gli Hawkwind e perfino – a ritroso – i Doors, i Grateful Dead ed Hendrix vengono avvolti dagli Hexvessel in una oscurità nordica ed esoterica imperante e sconfinata. Fagocitati in un abisso di neofolk allucinato e senza fondo. La conoscenza di tutta la musica roots psichedelica del passato mostrata dagli Hexvessel in questo è sconcertante. Il flusso pischedelico è ininterrotto, l’esplorazione dell’io tramite sonorità folk e roots altrettanto. Persino le chitarre acustiche e i mandolini creano una atmosfera dilagante, nubi spesse di allucinazioni e visioni mistico-subconscie. Fanno capolino persino lo scaccia pensieri siciliano, tamburelli, fiati impossibili da decifrare, fisarmoniche, violini, organi, zampogne e chissà quale altro strumento (inteso proprio come veicolo) per trascinare l’ascoltatore in un paganesimo e in un folklorismo magico e sinistro dalla portata immaginifica ed emotiva enorme. Vecchie danze, riti, liturgie pagane ancestrali vengono rievocate dagli Hexvessel in maniera sbalorditiva, avvolgente, impossibile da schivare. La loro musica è un flusso inarrestabile che colpisce frontalmente rapendoci e portandoci via in un mondo parallelo fatto di puro e sconfinato occultismo. Se a tutto ciò si aggiunge una sensibilità rock inarrivabile e un songwriting straordinario, capirete che il lavoro in questione ha una capacità di rapire che ha un margine di errore prossimo allo zero. E su tutto impera, assolutamente incontrastata, la voce meravigliosa di Kvohst, stregone e catalizzatore di tutto, sommo cerimoniere di una liturgia folk unica e straordinaria, che in questo campo non trova eguali da nessuna altra parte.