7.5
- Band: HIDEOUS DIVINITY
- Durata: 00:41:00
- Disponibile dal: 08/11/2019
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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È ormai difficile ignorare la destrezza con cui gli Hideous Divinity maneggiano le sonorità più vorticose e frenetiche dello spettro death metal nell’ottica di un lento ma inesorabile percorso di crescita. Dopo un disco che ha consentito loro di affrancarsi dalla cerchia prettamente a stelle e strisce di Hate Eternal, Morbid Angel e Nile e di cimentarsi per la prima volta con elementi black metal (“Adveniens” del 2017), Enrico Schettino e compagni si riaffacciano sul mercato con un’opera che ne ridefinisce ulteriormente le ambizioni e ne esprime a chiare lettere la volontà di mettersi in gioco, scegliendo di imboccare una strada che, se da un lato ha fatto perdere all’insieme qualcosa in termini di puro impatto, dall’altro consente ai cinque di adoperare una gamma di soluzioni più ampia e trasversale.
Licenziato dal colosso Century Media, “Simulacrum” riparte da dove si era interrotto il suo predecessore e si snoda attraverso un reticolo di brani dall’andamento spesso ambiguo, soltanto all’apparenza riconducibile alla categoria del ‘tritatutto’. Dietro un impianto ritmico straripante e un guitar work che non concede granché respiro all’ascoltatore, accumulando tonnellate di riff in maniera quasi febbrile, si cela infatti un microcosmo di arrangiamenti e dettagli che – di nuovo – evoca freddi paesaggi alieni, tinti di un nero che non può non risultare familiare a chi si nutre di certa scuola black islandese o statunitense.
Senza mai citarli apertamente, a tratti i Nostri sembrano ricorrere alla grafia di Nightbringer e Svartidaudi per parlare la lingua di un Erik Rutan o di un Karl Senders, trovando soprattutto nella seconda parte di tracklist (“Bent Until Fracture”, “Prey to a Vision”) un ottimo equilibrio fra brutalità e spirito visionario, atmosfera e tecnica da fuoriclasse. Nel mezzo di questo tumulto incessante, scandito da una performance al microfono variegata e sempre al servizio della narrazione, si sente forse la mancanza di trame groovy e memorizzabili, sulla falsariga di quelle contenute nell’ottimo “Cobra Verde”, ma nel complesso la quarta fatica in studio degli Hideous Divinity esprime carattere e solidità, avendo inoltre tutte le carte in regola per imporsi fra le uscite ‘modern’ death metal più significative di questo 2019. Chi non teme l’alta velocità è pregato di farsi avanti.