7.0
- Band: HIGH ON FIRE
- Durata: 01:21:55
- Disponibile dal: 26/05/2013
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: EMI
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Al trucchetto delle “pubblicazioni misteriose” hanno aderito anche gli High On Fire e, sinceramente, non ne abbiamo capito il vero motivo. Poco importa, se non che, dopo una serie di validissimi dischi (soprattutto sul finire dello scorso decennio), il trio di Oakland torna ad immergersi in un profondo live album come non accadeva dal 2005, l’anno di “Live From The Relapse Contamination Festival”. Tale scelta si manifesta in questa doppia release, “Spitting Fire”, due dischi i cui compiti sembrano da andare a ricercare in una voglia matta di infiammare l’estate con suoni sporchi ed esplosioni di puro grezzume stoner, rumori e sensazioni delle più meschine estrapolate direttamente da due concerti tenutisi a breve distanza nella Grande Mela, il primo alla The Music Hall di Williamsburg, in data uno dicembre 2012, mentre il secondo al Bowery Ballroom, il 30 novembre dello stesso anno. Gli High On Fire li conosciamo bene: nonostante un appiattimento generale dei suoni sulle ultime prove in studio, il loro gonfiatissimo attacco stoner rimane una garanzia per quanto riguarda le esibizioni dal vivo, sempre intense, vissute e intrise di quella passione portata avanti tra vizi ed eccessi dallo storico frontman Matt Pike, peso massimo della sonorità dure e pure. Se poi aggiungiamo al tutto una vena di nostalgia rappresentata dalle care e vecchie “Blood From Zion”, “Speedwolf” o dalla magistrale “Hung, Drawn And Quartered”, allora il target del prodotto diventano immediatamente tutti quanti i devoti, a chi ha seguito questa band fin dall’inizio, magari orfano dei grandi Sleep, o semplicemente a chi si è avvicinato a questo mondo solo dopo la pubblicazione dei grandiosi “Blessed Black Wings” e “Death Is This Communion”. Garanzie assolute, quindi, sul muro sonoro che sono in grado di ergere questi instancabili braccianti del doom metal, un muro solidissimo e che in certi frangenti rimane pacchiano da ammirare, ma che certo non lascia indifferenti o inchiodati alla propria sedia di casa. Un ascolto – ma anche ben più di uno – è dunque consigliato: i momenti di esaltazione non mancano e la potenza conferita alla produzione finale è degna di un qualsiasi album in studio della band, salvaguardando quell’impatto devastante tipico dell’intera discografia ad oggi. Da loro non aspettatevi nient’altro che sputate in faccia e chitarroni senza fronzoli; un approcio che potrebbe scoraggiare i più pretenziosi, ma che, fino a prova contraria, non ha mai richiamato a sè noia e cadute di stile.