HIPPOTRAKTOR – Stasis

Pubblicato il 18/06/2024 da
voto
8.0
  • Band: HIPPOTRAKTOR
  • Durata: 00:46:34
  • Disponibile dal: 07/06/2024
  • Etichetta:
  • Pelagic Records

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Ci siamo avvicinati ai belgi Hippotraktor, non appena ricevuto l’incarico della recensione, con un innato spirito curioso, soprattutto dovuto al loro moniker, ambiguo e mezzo grottesco, recante l’immagine di questo grosso trattore (‘Traktor’), lento e ondeggiante come un falsamente pacato ippopotamo (‘Hippo’). L’idea era quella che probabilmente il loro secondo disco, il qui presente “Stasis”, fosse un concentrato sulfureo di sludge, stoner, metal psichedelico e doom d’annata, uno di quei paludosi monoliti che trasudano sudore e barba incolta fin dai primi secondi di musica.
Poi, però, riflettendo sul fatto che l’etichetta per cui viene edito il successore di “Meridian” del 2021 è la Pelagic Records di Robin Staps dei The Ocean, abbiamo convenuto che forse no, qualche barlume di classe ed eleganza tali Hippotraktor dovevano avercelo, in qualche modo. Ed in effetti…
Provenienti dalla fiamminga Mechelen – in francese Malines, città che agli appassionati di calcio non può non far tornare alla mente l’incredibile portiere dei Diavoli Rossi Michel Preud’Homme – i nostri cinque belgi propongono in realtà un gustosissimo progressive-post metal dalle caleidoscopiche sfaccettature, pesante ed oppressivo come un’apocalittica bordata dei Meshuggah o dei Tool, suadente ed eclettico come gli ultimi dischi dei Gojira oppure come praticamente tutta la discografia di Devin Townsend, epico, raffinato e fragoroso come lo sanno essere solo i migliori The Ocean, senza dimenticarci un tocco malinconico à la Ghost Brigade, formazione finnica purtroppo persasi antetempo.
Strumentalmente siamo su coordinate dunque ben definite, anche se in realtà le influenze citate permettono agli Hippotraktor di spaziare ampiamente tra varie sfumature di sensazioni, emozioni e strutture più o meno lunghe e complesse. Vocalmente, invece, esiste una dicotomia, ovviamente non nuova per il genere d’appartenenza, che viene promulgata attraverso estremi ottimamente funzionali nel delineare una chiara matrice di discreta originalità, sia per quanto riguarda i timbri usati, sia per la bellezza delle linee vocali, che affascinano decisamente.
Da una parte troviamo l’alto e squillante timbro pulito del chitarrista Sander Rom, molto vicino al range vocale di Loic Rossetti, frontman proprio dei The Ocean, ma che nei ritornelli più melodici addirittura ci rammenta il compianto Chester Bennington dei Linkin Park; dall’altra parte, del resto, il contraltare vocale, l’anche percussionista Stefan De Graef, esibisce un growl ferocissimo e molto ‘aperto’, che ha in Marcus Bischoff degli Heaven Shall Burn il paragone più calzante. Questo contrasto, come già scritto per nulla una novità, è comunque il punto cardine della bellezza della musica contenuta in “Stasis”, tutto fuorchè statica e immobile, come parrebbe suggerire il titolo.
La sezione ritmica formata dal fenomenale Lander De Nyn alle pelli e da Jakob Fiszer al basso traina e trascina con la sua potenza e la sua sinistra precisione tutto il resto della band, lasciando alle pennellate del leader Chiaran Verheyden, la prima chitarra, il compito di filare trama e ordito di uno scintillante telaio, sul quale si alternano rabbia e pacatezza, groove e arpeggi, tranquillità e violenza, potenza e pura classe, in un fluire di note sempre in rinnovamento e parecchio imprevedibile. I margini per un’ulteriore crescita, che già è presente in “Stasis” se lo andiamo a paragonare a “Meridian”, sono ancora larghi e ci aspettiamo dagli Hippotraktor la maturità giusta per seguire le orme dei gruppi sopracitati.
Dalla tracklist è difficile estrapolare momenti particolarmente clou, in quanto il livello medio è molto alto, tale da non far emergere chissà quale picco di qualità; semplicemente perchè se ne trova ovunque, di qualità, in questo lavoro. Verissimo è anche che, se la prima parte dell’album colpisce per groove, melodia ed intensità, sono le ultime tre canzoni che contengono il succo più pregiato fin qui estruso dalle capacità del quintetto fiammingo: “The Reckoning”, “The Indifferent Human Eye” e la sfolgorante title-track, tutte appena sotto la soglia degli otto minuti, valgono da sole l’acquisto del disco.
Una scoperta davvero ottima, gli Hippotraktor, band da segnarvi senza esitazione alcuna sul taccuino delle prossime spese musicali, magari cercando di recuperare anche il debutto “Meridian” per completezza. Applausi, applausi, applausi.

 

TRACKLIST

  1. Descent
  2. Echoes
  3. Silver Tongue
  4. Renegade
  5. The Indifferent Human Eye
  6. Stasis
  7. The Reckoning
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