7.0
- Band: HIRAES
- Durata: 00:42:26
- Disponibile dal: 25/06/2021
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Il cambio di cantante, a ragione, è spesso considerato l’elemento di maggior rischio nella vita di una band, data la riconoscibilità dello stesso. Nondimeno, ci sono anche casi in cui proprio questo avvicendamento ha coinciso con la svolta, come ben testimoniato dal triplo carpiato degli Arch Enemy (Liiva > Gossow > White-Gluz), che ad ogni giro di giostra hanno visto crescere la propria popolarità (ed aumentare il ‘rumore dei nemici’, ma questo è un altro discorso). In questo caso la storia ha inizio dai Dawn Of Disease, band che tra il 2012 e il 2019 pubblica cinque album di melodic death metal non troppo originale ma comunque efficace, accodandosi alla nuova corrente finnica (Insomnium, Omnium Gatherum, etc.) un po’ come i loro connazionali Night In Gales rispetto ai padri fondatori di Gothenburg. Liberatisi del cantante Tomasz Wisniews, il cui growl old-school poco si sposava con le parti strumentali più moderne, i quattro superstiti hanno unito le forze con Britta Görtz (frontwoman dei thrasher Cripper) e dato così vita agli Hiraes, moniker derivato dal gallese ‘hiraeth’ (nostalgia). Musicalmente parlando il termine di paragone più immediato è proprio quello con gli Arch Enemy, e non solo per una questione di apparenza: dalle atmosfere moderne (tipiche della prima era Gosssow) al cantato ‘sporco ma non troppo’, per tacere dei soli a profusione, tutto rimanda alla premiata coppia Amott & White-Glutz al punto che qualche ascoltatore distratto potrebbe quasi confondersi. Chiarito questo aspetto, è bene chiarire che canzoni come “Under Fire”, “Grain Of Sand” o “Strangers” camminano (anzi, corrono) sulle proprie gambe, confermando l’eccellente preparazione tecnica dei quattro strumentisti e il carisma della nuova entrata dietro al microfono, forte di una personalità che le permette di non figurare come la brutta copia dell’Alissa di turno. Applaudendo la scelta di ripartire da zero, saremo facili profeti nel pronosticare ottimi riscontri nella natia Germania, ma per il futuro ci auguriamo possano recuperare un pizzico di quella vena malinconica che aveva contraddistinto l’incarnazione precedente della band, magari contaminandola con una matrice metalcore qui soltanto abbozzatta (“Outshine”) ma che ben si sposa con l’energia del quintetto tedesco.