7.0
- Band: HOLLOW HAZE
- Durata: 00:48:32
- Disponibile dal: 20/12/2010
- Etichetta:
- Crash & Burn
- Distributore: Masterpiece
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Ritornano sul mercato gli Hollow Haze, band tricolore capitanata da una vecchia volpe del metal italiano, Nick Savio, già membro dei più conosciuti White Skulls. Anche se siamo al terzo disco per questa band, un’ennesima rivoluzione di line-up (rispetto alla band che registrò il buono “The Hanged Man” nel 2007 è rimasto il solo Nick Savio) ha portato un deciso cambiamento nella proposta musicale della band. Reclutati alcuni nomi provenienti da realtà poco note (il nuovo cantante Ramon Sonato militava nei “Three Times Six” e nei “Chrome Steel”, band tributo rispettivamente di Iron Maiden e Judas Priest) e richiamati alle armi il drummer Camillo Colleluori e il bassista Davide Cestaro, entrambi già con Savio nella band metal-core “Cyber Cross”, gli Hollow Haze producono un album interessante, dalle sonorità cupe e rallentate, incline ad un massiccio uso di sintetizzatori e campionature (anche per la voce) che rendono il suono più pesante rispetto alla precedente uscita, pur rimanendo su coordinate proprie di un metal abbastanza classico. Un’uscita che in parte spiazza, dunque, ma non per questo priva di pregi e buoni momenti. L’album si apre con la coppia “Every Single Word” e “Open Your Eyes”, due canzoni dinamiche e veloci, impreziosite da ottimi assoli di chitarra. Subito salta positivamente all’occhio la voce del nuovo cantante, influenzato nella timbrica e nello stile dalla precedente militanza nel tributo ai Judas, l’ombra di Halford è infatti più che riconoscibile nella sua timbrica. La successiva “Coming from Hell”, invece, annoia nel suo eccessivo concentrarsi su climi cupi e rallentati, la voce di Sonato sembra sicuramente essere più adatta a contesti meno costretti. Su queste stesse linee più cupe si muovono anche “Hot Blood” e “Dark Night” che, pur contando su buone melodie, confermano l’impressione che i momenti migliori siamo comunque quelli più veloci e dotati di un maggior dinamismo. L’album si conclude però con una decisa impennata, regalandoci una simpatica e decisamente irrobustita cover di “Gates of Babylon” dei mitici Rainbow (bella performance del cantante nell’interpretare il mai troppo compianto R.J.Dio); e soprattutto offrendoci la bella “Beyond”, uno dei pezzi migliori del disco, caratterizzato da interessanti soluzioni sonore sia a livello di vocale che a livello del fantasioso riffing. Un disco in definitiva bello, per nulla derivativo, che denota una buona personalità e ottimi mezzi tecnici; solo in parte indebolito dalla presenza di pezzi che si ostinano troppo nella ricerca di ritmi cupi e rallentati che non sembrano appartenere del tutto al DNA di questa band. Consigliato!