6.0
- Band: HOLY SHIRE
- Durata: 00:51:06
- Disponibile dal: 26/10/2018
- Etichetta:
- Heavy Metal Records
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“The Legendary Shepherds Of The Forest”, anche da un ascolto superficiale, evidenzia una maggiore ricerca e sperimentazione sia nella musica che nelle liriche. La seconda fatica per i milanesi Holy Shire, nella sua scorrevolezza, non presenta momenti di reale esaltazione o melodie particolarmente ficcanti ma riesce comunque a tenere viva l’attenzione dell’ascoltatore confermando quello che di buono ci avevano proposto con il precedente lavoro “Midgard”. Brani come “Danse Macabre”, la titletrack e “At The Mountain Of Madness” compongono un trittico che mette in mostra tutto il potenziale di questa formazione (che vede nuovi interpreti alla chitarra ed al flauto) insieme alla sua maturazione stilistica. Il loro sound qui assume connotati orientati maggiormente verso sonorità rock e progressive, sfociando quasi mai in momenti power, virando per lo più su ritmi blandi dai sentori introspettivi riuscendo quindi a trovare una maggiore capacità atmosferica ed una migliore miscela tra i suoni ruvidi e quelli più leggeri ed eterei. Questo per merito anche delle collaborazioni con Masha Mysmane (Exilia), per gli arrangiamenti, e di Federico Maffei (Folkstone), a cui è stata affidata la produzione artistica di buona parte del lavoro. Anche in “The Legendary Shepherds Of The Forest”, come nel suo predecessore, le composizioni trovano un difficile riscontro in termine di paragone con altre realtà folk o symphonic confermando quindi che la proposta musicale, atipica e leggermente variata, rimane ancora la caratteristica principale ed il punto forte dei Nostri. Certo qua e là si trova qualche passaggio che mostra delle forzature tra la componente rock e quella folk/sinfonica come nel caso dell’iniziale “Tarots” in cui il groove delle strofe non lascia molto spazio per un’interpretazione a voce operistica ottenendo un risultato piuttosto slegato tra le parti salvo poi raddrizzare il tiro nel finale. Tolta l’inizio claudicante c’è però tutto il tempo di rifarsi. Ed infatti all’interno dell’opera sentiamo episodi dove invece possiamo godere di ottime atmosfere fantasy con strutture e ritmiche più azzeccate, come nell’ispirata “Princess Aries” e in “Ludwig”, dove questa volta la componente vocale regge perfettamente il brano grazie ad un comparto lirico eterogeneo che aiuta l’ascoltatore ad entrarne nel vivo. Forse una produzione meno asciutta avrebbe donato un po’ di pacca in più a questo lavoro ma di contro avremmo perso l’approccio prog che permea il lavoro. Con la prossima uscita, unendo i tratti distintivi e caratterizzanti di entrambi i lavori, potremmo assistere al salto di qualità definitivo degli Holy Shire.