7.5
- Band: HORN
- Durata: 00:39:17
- Disponibile dal: 03/05/2024
- Etichetta:
- Northern Silence Prod.
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Torna a farsi sentire lo schivo e prolifico Niklas ‘Nerrath’, che porta avanti – con costanza e convinzione – il suo modo di intendere il pagan black metal da ormai oltre vent’anni.
Passata la sbornia di pagan/viking/folk metal di alcuni anni fa, a restare sono generalmente gli artisti più convinti e convincenti, e possiamo tranquillamente annoverare Horn tra questi. I suoi lavori sono una garanzia in termini di qualità e ispirazione, anche se non possiamo parlare di capolavori ‘senza se e senza ma’, almeno se escludiamo alcuni vecchi lavori, come “Die Kraft Der Szenarien”.
Nonostante questo, il musicista tedesco riesce – anche questa volta – a confezionare un disco interessante e godibile, sicuramente una spanna sopra la media dei molti dischi ben suonati, ben prodotti ma privi di un qualsivoglia guizzo (emotivo, se non di genio) che escono con cadenza quasi quotidiana.
E così l’opener e ‘singolo’ proposto in anteprima sui canali social “Braud” ci introduce in un universo non nuovo, in termini stilistici, ma che mostra colori tendenzialmente più cupi rispetto al recente passato; il confronto è soprattutto rispetto a “Mohngang” ma anche al penultimo uscito, “Verzet”: le nuove composizioni guardano infatti meno al folk e più al black e al pagan metal, con un taglio sempre epico, ma più oscuro e diretto.
Parliamo di sfumature, naturalmente, perché il marchio di fabbrica Horn è chiaramente distinguibile nel cantato in tedesco di Nerrath, aggressivo ma comprensibile, nel riffing particolarmente curato, nel bilanciamento tra violenza e melodie nordiche, nelle soluzione di batteria varie e dal piglio spesso trascinante.
Le composizioni regalano una certa varietà di scrittura, che si esprime in brani più tirati, come “Daudsaom” o “Dagetostaon” ed altri che recuperano le melodie folk tanto care alla band negli ultimi anni, è il caso ad esempio di “Likentog”, mentre altrove il musicista del North Rhine-Westphalia lascia spazio ad una vena più classica, si vedano a tal proposito gli assoli puliti contenuti in “Broth”; in ultimo “Landrake” ci mostra il volto più anthemico e perfino bombastico del progetto, dove l’uso più marcato delle tastiere è controbilanciato da una sezione ritmica precisa ed implacabile, dall’incedere quadrato e squisitamente teutonico.
In ogni caso il polistrumentista tedesco preferisce i tempi medi, dimensione nella quale si trova più a suo agio nel raccontare storie: sotto il profilo tematico “Daudswiärk” tratta della Germania rurale, con l’utilizzo di antichi termini dialettali, come lo stesso titolo, traducibile letteralmente come ‘lavoro di morte’. L’accento è posto così sulla tradizione, vista però dal lato più duro e quotidiano del lavoro nei campi e della lotta per la sopravvivenza, evitando la lettura più romantica (e romanzata) di un Medio Evo fatto solo di castelli, cavalieri in armature scintillanti e giovani discinte che danzano nei boschi illuminate dalla luna.
Musica e liriche vanno quindi armoniosamente a braccetto con lo spauracchio del triste mietitore alle calcagna, tra riff malinconici e melodie solenni, senza per questo disdegnare soluzioni catchy (proprio questa è la grande forza di questa band).
Consigliato a chiunque apprezzi non solo il pagan black metal tedesco, ma anche la scena dell’Est Europa e lo stile unico e spietato dei Primordial.