7.5
- Band: HOUR OF PENANCE
- Durata: 00:38:21
- Disponibile dal: 05/04/2024
- Etichetta:
- Agonia Records
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Parlare di una nuova opera di Giulio Moschini e compagni come del ‘solito’ disco degli Hour of Penance potrebbe suonare come un’affermazione fuorviante; un appunto poco lusinghiero verso una proposta ormai stanca e assestatasi su un inerte riciclo di idee e contenuti… niente di più sbagliato.
Perché se è vero che a livello stilistico, dopo nove full-length e venticinque anni di carriera, i Nostri si guardano bene dallo stravolgere una formula affinatissima o dal compiere rivoluzioni copernicane, è altrettanto certo che il loro insistere su sentieri battuti – tracciati da lavori del calibro di “The Vile Conception”, “Paradogma” e “Sedition” – si sovrappone puntualmente a una concezione di death metal fresca e vitale, la cui data di scadenza sembra rimandarsi di continuo.
Discorsi già fatti, frasi già scritte, eppure sempre attuali nel momento in cui il gruppo romano – qui alla sua prima prova in studio con il batterista Giacomo Torti (Bloodtruth) – decide di rimboccarsi le maniche e confezionare ex novo una serie di brani dal taglio furente e cattedratico, agendo come un maglio per il rinvigorimento del corpo e dello spirito.
Nello specifico, “Devotion” riparte da dove, pre-pandemia, si era interrotto il fortunato “Misotheism”, riprendendone le atmosfere cupe, malvagie e striate di black metal – nella cui resa complessiva gioca un ruolo fondamentale il mixing/mastering dei polacchi Hertz Studio (Behemoth, Decapitated, Vader) – per poi calarsi in un contesto un filo più tecnico e vorticoso, espressione di un songwriting irrobustitosi senza per questo dimenticare le ragioni che, almeno dal 2008, consentono alla musica dei Penance di fare scuola all’interno della scena.
Del resto, sebbene in questa quarantina di minuti si adottino ritmi mediamente più serrati e si ricerchi con più insistenza la finezza chitarristica (esemplare, a questo proposito, l’opener “Devotion for Tiranny”), il tocco e il gusto della coppia Moschini/Pieri resta evidente e inconfondibile; un perno attorno al quale le strutture dei singoli episodi, anche nei momenti di massima concitazione, non perdono mai la bussola della fluidità e del senso logico, dispensando a cadenza quasi ciclica uno spunto (sia esso un riff o un cambio di tempo) immediato e di facile presa. Una ricetta che, come detto, non si preoccupa più di aggiornare o rivedere i propri ingredienti, modificandone semmai il dosaggio in base alla natura dell’album, e che consapevole della propria elasticità (si sentano gli echi Dark Funeral delle ottime “Parasitic Chain of Command” e “The Morality of Warfare”) continua mirabilmente a convincere nonostante lo scorrere degli anni, appagando sia i fan della tradizione, galvanizzati dai rimandi ai vecchi Angelcorpse, Morbid Angel e Sinister, sia quelli legati alle forme più moderne del genere.
Forse, volendo trovare il pelo nell’uovo, qui non vi è lo stesso numero di ‘hit’ del succitato lavoro del 2019, il quale poteva contare su almeno quattro/cinque episodi da infarto, ma nel complesso, anche a questo giro, non è esagerato parlare del ritorno degli Hour of Penance come di uno degli eventi topici dell’annata death metal, in grado con il suo mix di ferocia e autorevolezza di imporsi su una buona detta della concorrenza. Arrivati a questo punto, è palese come neppure le definizioni di ‘costanza’ e ‘garanzia’ rendano loro piena giustizia.