7.0
- Band: HOUSE OF LORDS
- Durata: 00:43:30
- Disponibile dal: 15/03/2004
- Etichetta:
- Frontiers
- Distributore: Frontiers
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Gli House Of Lords sono la classica band sottovalutata e ignorata da gran parte del pubblico metal, troppo spesso impegnato a seguire quasi esclusivamente i “soliti noti”, sia per pigrizia sia per chiusura mentale. Per chi non lo sapesse, la band non è di certo l’ultima arrivata visto che ha alle spalle tre lavori (l’omonimo e il successivo “Sahara” sono notevoli!) usciti a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Mai baciati dal successo planetario che colse gente come Whitesnake e Def Leppard, e schiacciati dal Seattle Sound, tornano oggi tra noi dopo ben 12 anni (complice la rinascita dell’hard rock melodico). Innanzitutto mi preme segnalare l’assenza dello storico tastierista Greg Giuffria, sostituito da un cast di stelle come Derek Sherinian, Allan Okuye, Sven Martin e Ricky Philips, che ovviamente si alternano nelle song presenti in questo platter in sostanza sì degno di nota, ma che in parte lascia l’amaro in bocca dato che non fa certamente urlare al miracolo. Ad esempio si poteva evitare l’inutile esercizio di autoindulgenza nella title track, assolutamente fine a se stesso che nulla aggiunge all’indubbio valore dei singoli componenti. Tra gli highlight del disco vanno segnalate la stupenda “The Rapture”, colorata da un flavour arabeggiante, che crea un’atmosfera tutta particolare, grazie anche alla notevole prova del vocalist James Christian. Bellissima anche “Bitter Sweet Euphoria”, grazie al particolare riffing cesellato dal chitarrista Lanny Cordola, arricchito dal sound delle tastiere, che confluiscono nell’espressivo refrain, per poi duellare con la chitarra nel solo. Toccante la ballad conclusiva “Child Of Rage”, dotata di un bellissimo e semplice intreccio di chitarre e tastiere, che fanno da tappeto alla sentita interpetazione del singer che dimostra di saper modulare senza sforzo alcuno la sua bella voce. I restanti brani, pur essendo eseguiti con sapiente tecnica, non riescono a colpire a dovere (l’opener “Today” ne è un chiaro esempio), ed è un peccato visto che le premesse per un must c’erano tutte… se solo il livello delle composizioni fosse rimasto quello delle tre tracce precendentemente citate. Resta il fatto che nel complesso il prodotto risulta godibile: restiamo quindi in attesa del prossimo lavoro – che, sono pronto a scommetterci, sarà almeno ottimo visto che in alcuni frangenti il combo ha mostrato di non sentire affatto l’inesorabile peso dell’età. Bentornati!