5.0
- Band: HUMAN DECAY
- Durata: 00:48:49
- Disponibile dal: 30/04/2015
- Etichetta:
- Sliptrick Records
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Non è mai facile scrivere di un album che non solo non ci entusiasma, ma che riteniamo oggettivamente scadente sotto molti punti di vista. E’ difficile perché sembra di volersi accanire contro un gruppo di ragazzi che sicuramente ci ha messo anima e corpo, sudore della fronte, ore di sale prove e, non ultimo, anche una certa quantità di denaro, oltre che tonnellate di buoni propositi. Ma quello che ci viene chiesto è un parere, magari il più possibile obiettivo e, senza volerci ergere a giudici supremi o detentori di verità assolute, noi cerchiamo di fare quello che spesso sono proprio i gruppi stessi a richiederci mandandoci i loro album, come in questo caso. “Cleptocrazia”, album di debutto dei toscani Human Decay, è un disco di death thrash metal tanto genuino quanto ingenuo e casereccio. Il primo, evidentissimo difetto ad emergere è una produzione decisamente non all’altezza della qualità media che oggi si sente praticamente ovunque: con questo suono gracchiante, confuso nei momenti più veloci e terribilmente vuoto nei momenti solistici, queste chitarre scarne, senza verve, prive di groove, questa batteria di cui si sente solo la doppia gran cassa… non ci siamo. Pazienza, passiamo oltre. Parliamo del songwriting: purtroppo non abbiamo sentito, nei dieci brani a disposizione (che poi sono otto se si escludono intro e outro e una bonus track diciamo non classificabile) un passaggio che brillasse di una luce propria. Una ripetitività a ciclo continuo delle stesse soluzioni che si rincorrono nei troppi minuti che compongono i singoli brani, una prevedibilità di soluzioni ritmiche e di guitar working a tratti disarmante, una spersonalizzazione talmente evidente da ricordarci davvero qualsiasi band e allo stesso tempo nessuna. Infine le liriche: apprezzabile e coraggioso è l’intento di scrivere brani in italiano, nella nostra penisola abbiamo diversi gruppi che cantano in lingua madre con ottimi risultati. Purtroppo però la linea di confine che rende il cantato in italiano da fico a ridicolo è abbastanza labile, e indubbiamente il contenuto dei testi e il modo con cui vengono affrontate e sviscerate le tematiche è decisivo. Onestamente, nel 2015, certi testi da “punkabbestia” anarco-insurrezionalista che odia indistintamente qualsiasi cosa, dalla “banca” che “brucia con il cassiere dentro” che “brucia con un bicchiere di benzene, cinque euro spesi bene” (citiamo testualmente) all’inevitabile classe politica di turno, passando per l’ormai immancabile prete stuprabambini e via discorrendo di altri cliché, sono abbastanza imbarazzanti. Non è che ci si aspetti dei poemi epici da dei rudi metallari, per l’amor del cielo, però questi sono piuttosto sottotono per delle persone adulte che non solo non aggiungono nulla alla musica ma, anzi, se possibile tolgono ancora più valore al lavoro complessivo. I margini di miglioramento dunque sono tanti, ci auguriamo davvero che queste parole servano agli Human Decay a trovare gli stimoli e le motivazioni per fare di meglio in futuro, per correggere il tiro e per farci vedere quanto ci siamo sbagliati di grosso nel giudicarli un gruppo scadente.