8.0
- Band: HUMAN IMPACT
- Durata: 00:41:36
- Disponibile dal: 13/03/2020
- Etichetta:
- Ipecac Recordings
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Gli Human Impact sono un cosiddetto supergruppo, nato dall’unione di musicisti di estrazione noise rock, tutti veterani della scena newyorkese. Si tratta di artisti di un certo calibro, con un curriculum che ne certifica l’importanza storica per il genere proposto: Chris Spencer, voce e chitarra dei pesi massimi Unsane; Jim Coleman, elettronica e campionamenti, per anni nelle fila dei Cop Shoot Cop; da questi ultimi proviene pure il batterista Phil Puleo, il quale, come il bassista Phil Pravdica, ha fatto parte anche degli Swans. Tutti personaggi, insomma, che negli anni hanno contribuito a modellare un certo tipo di suono, tanto che questo viene identificato con l’area geografica in cui è nato, appunto la città di New York. Fatte queste premesse, e aggiungendo che il disco esce per un’etichetta prestigiosa e specializzata in sonorità fuori dal comune come la Ipecac Recordings e che è stato registrato da un produttore di fama come Martin Bisi (Sonic Youth, John Zorn, Bill Laswell, Helmet, Unsane tra gli altri), ci si potrebbe aspettare un lavoro di livello altissimo. E, in effetti, le aspettative non vengono deluse. E’ una musica strana, quella degli Human Impact: pur rientrando appieno nella tradizione del miglior noise newyorkese, non sembra raggiungere i picchi di esplosività degli Unsane, nè avere la violenza post hardcore degli Helmet, e neppure essere disturbante come gli ultimi Swans (anche se un pezzo come “Cause” potrebbe ricordarli da vicino, non fosse che se l’avesse scritto Michael Gira sarebbe stato dieci volte più lungo). Eppure, tutti questi aspetti, in modo silente, fanno parte di questo disco, che ti entra dentro in modo inquietante, forse all’apparenza meno minaccioso, ma più subdolo: ogni canzone sembra l’attesa di qualcosa che non avverrà mai, creando una tensione latente che ipnotizza l’ascoltatore; l’effetto nel suo insieme è quesi cinematografico, come se si trattasse della colonna sonora di una città del futuro. Le chitarre sono taglienti come nel miglior noise, ma talvolta sembrano quasi avere un suono più sfumato; la voce è aggressiva ma mai sopra le righe; basso e batteria hanno un ritmo quasi chirurgico; elettronica e campionamenti sono sempre presenti ed integrati alla perfezione nel tessuto musicale e sono fondamentali per creare scenari apocalittici. I brani sono tutti di qualità, senza nessun cedimento e, considerato il genere, mostrano una certa immediatezza; meritano sicuramente una citazione “Portrait”, contraddistinta da un ritmo quasi tribale, l’allucinata “Protester”, il cui cantato ricorda Zack de la Rocha, e la conclusiva “This Dead Sea”, un vero e proprio tritasassi. Una band di assoluto valore, composta da musicisti che hanno fatto la storia di questo genere e che, se non rimarrà un progetto estemporaneo, potrà avere ancora molto da dire e non farci rimpiangere la mancanza degli Unsane.