6.5
- Band: HUNTRESS
- Durata: 00:45:37
- Disponibile dal: 28/06/2013
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Con un’immagine in stile esoterico dominata dalle prosperose e invitanti forme della cantante ed ex playmate Jill Janus, gli Huntress sono usciti allo scoperto lo scorso anno con “Spell Eater”, un discreto album di metal classicissimo. Sicuramente l’impatto visivo e la spinta promozionale derivante hanno permesso al gruppo di ottenere su riviste e media online una enorme visibilità che ha spianato la strada al ritorno a breve distanza con il nuovo “Starbound Beast”, un disco che prosegue sulla scia del precedente. Di nuovo troviamo una dozzina di brani figli del metal ottatiano di matrice Iron Maiden, Judas Priest o Mercyful Fate con una sfumatura dell’irrivverenza propria degli W.A.S.P. dei tempi che furono. I tradizionalisti, insomma, avranno ancora una volta pane per i loro denti. Non deve infatti ingannare la presenza di qualche leggerissimo sconfinamento in territori estremi dato dal growling che la cantante a tratti sfodera sulla opener “Blood Sisters”, episodio forse migliore dell’intero lotto, nel quale linee vocali delle strofe, ritornelli e riffing riescono a colpire al primo impatto. Già dalla seconda “I Want To Fuck You To Death”, scritta in collaborazione con nientemeno che Mr. Lemmy Kilmister dei Motorhead, i ritmi calano e le melodie si addolciscono, per un discreto mid tempo dal chorus hardrockeggiante. Il disco prosegue poi con un susseguirsi di brani heavy metal privi di qualsivoglia contaminazione e con Jill a farla da padrona grazie ad una notevole estensione vocale e un approccio leggermente sporcato che la tiene lontana da impropri paragoni con le angeliche e operistiche voci femminili che popolano gran parte della ricca scena delle “female fronted band”. Qui troviamo poche melodie all’acqua di rose e sono semmai le ritmiche incisive e l’immediatezza dei ritornelli a costituire i punti di forza dei brani. Tra gli episodi più convincenti possiamo citare anche l’oscura e in alcuni frangenti doomy titletrack o la spaziale ed eterea “Alpha Tauri” posta in chiusura, pezzi che non brillano certo per originalità ma si lasciano ascoltare con piacere. Presenti però anche canzoni meno ispirate come l’up-tempo “Receiver” o la piú ritmata “Spectra Spectral”, tracce che soffrono la presenza di ritornelli piuttosto insipidi. I suoni, a cura di Chris Harris alias Zeuss, sono ottimi e valorizzano la discreta qualità di un prodotto che, pur non spiccando rispetto alla media, nel suo complesso ci permette di confermare la validità del gruppo americano. Certo, un po’ più di personalità e soluzioni meno retrò o comunque più lontane dal concetto di “già sentito”, forse permetterebbero alla musica degli Huntress di non finire in secondo piano rispetto all’immagine provocante della sua frontwoman.