8.5
- Band: HYPOCRISY
- Durata: 00:47:13
- Disponibile dal: 13/02/1996
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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Dopo gli ancora acerbi primi due dischi, “Penetralia” ed “Osculum Obscenum” – oggi comunque discreti oggetti di culto sebbene non propriamente dei capolavori – ed il successivo “The Fourth Dimension”, in cui la band comincia a prendere la sua peculiare fisionomia, gli Hypocrisy di Peter Tagtgren fanno il botto pubblicando, nel 1996, quella che da tanti loro fedeli adepti è considerata tutt’oggi la loro miglior prova in studio, ovvero “Abducted”. Quarto full-length della storia del terzetto svedese, ovviamente su Nuclear Blast, “Abducted” è uno dei primissimi lavori registrati e prodotti agli Abyss Studios dello stesso Tagtgren, da allora in avanti divenuti una sorta di luogo di pellegrinaggio doveroso per un buon numero di gruppi death metal e soprattutto black metal. Ma, a parte il sound, sicuramente importante per far salire le quotazioni degli Hypocrisy, cosa rende così strepitoso il lavoro in questione? Così, in prima battuta, diremmo la varietà di soluzioni proposte mantenendosi fedeli ad un tutt’uno di ispirazione, che poi è quello che ancora oggigiorno riesce a farci considerare la band fra le migliori esponenti del death svedese. “Abducted” è un disco più estremo e allo stesso tempo più orecchiabile di “The Fourth Dimension”: Peter inizia a sperimentare maggiormente con la sua voce, alternando growl, screaming, voce pulita e parti recitate sempre riuscendo a trovare il bandolo della matassa, ben assistito dai suoi storici compari, Mikael Hedlund al basso e Lars Szoke alla batteria; il chitarrismo di Tagtgren diventa più volubile e assolutamente senza freni e allo stesso passo seguono ispirazione e coraggio, come dimostrano le due incredibili ballate pinkfloydiane poste in chiusura, “Slippin’ Away” e “Drained”, si suppone uno shock al tempo per i fan più oltranzisti. Ma sono altri i brani ad entrare direttamente nella Storia del metallo estremo: “Roswell 47” è epica e dal lento incedere, con un giro melodico che si stampa nel cervello in tre nanosecondi, mentre “Killing Art” fende l’etere con sinistra malvagità e taglienti rasoiate, lanciata a capicollo verso un interminabile buco nero. Due episodi che nei concerti degli Hypocrisy non possono praticamente mai mancare! In questo platter, è bene sottolinearlo, non c’è una traccia inutile, perché ad esempio anche l’intermezzo atmosferico-sinfonico “Reflections” riesce a non passare inosservato grazie al suo essere inquietante e spaventoso: abbiamo dunque la title-track e “Point Of No Return” ad elevare le quote di adrenalina assieme alla già citata “Killing Art”, “Buried”, “Paradox” e “Carved Up” a detonare con maggior pacatezza ma assolutamente massicce, ed infine le più dimesse “The Arrival Of The Demons (Part 2)” e “When The Candle Fades”, brani comunque più che validi. Un lavoro che davvero non si stanca mai di ascoltare e – cosa importante – lo si ascolta sempre volentieri nella sua interezza. Uno di quegli album che spesso e facilmente ritorna nello stereo e pare sconfiggere le leggi del tempo. D’altronde, qui si parla di abduzioni, cavie umane e trasbordi spazio-temporali, mica robetta…