HYPOCRISY – Hypocrisy

Pubblicato il 21/10/2018 da
voto
10.0
  • Band: HYPOCRISY
  • Durata: 00:55:24
  • Disponibile dal: 22/06/1999
  • Etichetta:
  • Nuclear Blast
  • Distributore: Audioglobe

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Nel 1997, poco dopo l’uscita dell’ottimo “The Final Chapter” ed ormai impegnato a pieno regime anche nei suoi personalissimi Pain, Peter Tagtgren annuncia scherzosamente (ma quanto poi, in realtà?) la fine degli Hypocrisy, lasciando di stucco gli ormai tantissimi affezionati del terzetto svedese. Con un titolo così lapidario – ‘L’Ultimo Capitolo’ – e con le notizie frammentarie che, rispetto ai tempi attuali, arrivavano all’epoca, non fu facile capire che si trattava tutto sommato di un tiro mancino che il Nostro ci stava giocando; tant’è che, nell’arco di due anni, arrivano di fila il distruttivo live album “Hypocrisy Destroys Wacken”, il secondo lavoro dei Pain, “Rebirth”, e l’attesissimo sesto full-length degli Hypocrisy, l’omonimo, che oggi recensiamo nella rubrica I Bellissimi in preparazione all’ambitissimo ritorno di Peter & Co. in Italia, con l’Infernal Forces 2018 del 27 ottobre prossimo.
Il titolo-col-nome-della-band è significativo, anche se ambiguo: volontà di dare un’aura di fresca ripartenza stilistica dopo il finto scioglimento…oppure semplice mancanza di fantasia? Comunque sia, “Hypocrisy” esce all’inizio dell’estate 1999, esattamente in mezzo alle pubblicazioni delle due band al tempo principi della scena death metal melodica: “Colony” degli In Flames e “Projector” dei Dark Tranquillity. Assieme a questi due dischi, dunque, forma un terzetto di release epocale per qualità, forza e varietà interpretativa. Difatti, dopo aver praticamente disintegrato tutto il disintegrabile con “Abducted” e “The Final Chapter”, Tagtgren, Mikael Hedlund e Lars Szoke alzano l’asticella della loro fantasia andando a comporre il platter più complesso, ambizioso e carico di arrangiamenti che la formazione di Ludvika aveva concepito fino allora. Un vero disco di melodic death metal, con nemmeno tante concessioni ispirative alla scena floridiana e con un delizioso tocco nostalgico e decadente che abbraccia spesso e volentieri le composizioni ivi contenute. Le sovraincisioni chitarristiche di Peter sono monumentali ed infinite, profonde e consegnanti ai posteri un abbecedario di riff tecnico-melodici e atmosferici da rimanere a bocca aperta; le sotterranee ma udibilissime partiture di tastiera sono, quantomai come in questo lavoro nella storia degli Hypocrisy, fondamentali per creare strati di imponente melodia e riempire vuoti di frequenze, in un caleidoscopio densissimo e pesante quanto una manciata di piombo; e poi abbiamo la voce…l’immensa voce del signor Tagtgren, capace di modularsi in mille modi estremi e in qualche tonalità clean, depressa ma incredibilmente espressiva, come se nulla fosse, plasmando le proprie corde vocali come argilla malleabilissima poi lasciata seccare e divenuta roccia delicata ma infrangibile. Uno spettacolo nello spettacolo. I suoi storici pard, Hedlund e Szoke, recitano al solito una parte da comprimari, ma in realtà dicono anche con dignità la loro, co-scrivendo qualche canzone ed imbastendo una sezione ritmica decisa e precisa per accompagnare una setlist memorabile e pressochè perfetta, scevra di cali di tono o punti morti. Da qui, il 10 pieno assegnato a “Hypocrisy”.
Si parte con l’ormai indimenticabile incipit sinfonico-cinematografico dell’opener “Fractured Millennium”, uno dei pezzi più memorabili scritti dallo zio Peter, enfatico, roboante, melodico all’eccesso eppure pesantissimo e dotato di un incredibile chorus in screaming doppiato da voce pulita; per non farsi mancare nulla, un pregevole assolo si staglia nel firmamento di fine millennio, quello stesso Millennio ‘Spaccato’ probabilmente dall’arrivo di qualche gigante calamità aliena. Segue poi “Apocalyptic Hybrid”, che, assieme a “Time Warp”, rappresenta i momenti di massima violenza del lavoro, a cavallo tra melodic death metal velocissimo e grindcore, durante le quali il secondo pare predominare in un vortice di riffing frenetico, linee vocali assassine e schizoidi e qualche cambio di tempo micidiale; mentre “Apocalyptic Hybrid” è ‘canonica’ nella composizione, “Time Warp” pende molto dalla sua parte -core, con linee vocali parecchio atipiche, rendendola un unicum scrittorio in tutta la carriera della band. La relativamente semplice “Fusion Programmed Minds” ci riporta ai fasti dei dischi appena precedenti, con un riuscito mix di epiche melodie, groove spaccaossa e voci perentorie, qualità che poi si ripresenteranno all’altezza delle seguenti “Reversed Reflections” e “Paranormal Mysteria”, più vicine al concetto di death metal melodico che permea tutto l’album e che avvicina gli Hypocrisy al movimento nazionale al quale, in verità, non sono mai stati accostati e dal quale si sono sempre – e sono sempre stati – tenuti ben separati. Per questo motivo, ci sentiamo stranamente di paragonare “Hypocrisy” ad un altro capolavoro di death melodico spesso poco citato nel genere, in quanto non creduto tale: “Heartwork” dei Carcass.
Chiudiamo questa breve parentesi ‘filosofica’, proseguendo con “Elastic Inverted Visions” e “Until The End”: due composizioni accoppiabili in quanto, pur poi dominate dalla solita enfasi cavalcante della scrittura di Tagtgren, iniziano entrambe in maniera lenta e arpeggiata, preludendo a qualcosa che si avvicini ad una ballad, poi trasformatosi presto in tellurici brani sulla scia di “Inquire Within” o “Request Denied”, dei quali sono più che degni e maturati epigoni; soprattutto il ritornello di “Elastic Inverted Visions” ci pare uno dei momenti più alti dell’album in questione, così come il groove quadrato ma sbilenco della prima parte di “Until The End”, che fa scapocciare come ossessi. Con “Disconnected Magnetic Corridors” ci trasferiamo rapidi all’interno di quelle coordinate stilistiche più lente, decadenti e depresse che solo gli Hypocrisy sanno rendere così bene: il mix di voce trasognata e ipnotizzante, la chitarra liquida che imperversa, tastiere circondanti e ariose, ritmiche pacate ma subdole…tutto ciò non farà che portarvi davvero in una landa desolata, esterna allo spazio conosciuto, dove poter riflettere al cospetto di mute entità immani. Fin poi al momento in cui dovrete tornare alla cruda verità di una brulla ed inospitale Terra, ormai ridottasi ad una “Paled Empty Sphere”, splendida canzone finale che con i suoi toni da ballata nostalgica e malinconica chiude un disco, lo ripetiamo, perfetto. Perfetto soprattutto ora, a diciannove anni passati dalla sua release, quando il Tempo ha ormai incastonato nelle sue spire un simil diamante grezzo, ancor lungi dal diventare fossile. Un fossile metallico che mai sarà. Ascoltare, riascoltare e ascoltare di nuovo. Fino a sconfiggere ogni curvatura spazio-temporale.

TRACKLIST

  1. Fractured Millennium
  2. Apocalyptic Hybrid
  3. Fusion Programmed Minds
  4. Elastic Inverted Visions
  5. Reversed Reflections
  6. Until The End
  7. Paranormal Mysteria
  8. Time Warp
  9. Disconnected Magnetic Corridors
  10. Paled Empty Sphere
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