8.5
- Band: HYPOCRISY
- Durata: 00:54:24
- Disponibile dal: 06/10/1997
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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L’attuale futuro degli Hypocrisy, dipendente in tutto e per tutto dalle intenzioni del loro leader maximo Peter Tagtgren, alle prese con Pain e Lindemann con più pressanti priorità, è completamente incerto, con la band in hiatus fino a quando-non-si-sa. Ma proprio ormai quasi vent’anni fa, la formazione svedese cercò di giocare un simile brutto scherzo ai propri appassionati fan, pur con dinamiche e condizioni spazio-temporali diversissime da oggi: quando uscì, difatti, “The Final Chapter”, nell’autunno del 1997, gli Hypocrisy annunciarono poco dopo il loro prossimo scioglimento, dovuto ai gravosi impegni che Tagtgren iniziava ad avere proprio con i neonati Pain. In seguito la band cambiò rapidamente idea, grazie all’apprezzamento che stampa e fan riversarono sul nuovo materiale, ma per noi quale miglior anniversario e coincidenza, dunque, per proporre tra i Bellissimi di quest’annata proprio uno dei tanti capolavori della seminale melodic-death metal band? “The Final Chapter” arriva dopo “Abducted”, uscito appena un anno e mezzo prima, disco che sdoganò i Nostri verso il successo underground del metallo estremo, un lavoro che definisce in modo chiaro il suono Hypocrisy, dopo gli esordi ‘floridiani’ e il transitorio “The Fourth Dimension”. Bissare “Abducted”, dunque, pare davvero difficile per il terzetto composto da Peter e dai fidi Mikael Hedlund (basso) e Lars Szoke (batteria). Ma la band è in forma smagliante, il death melodico è sulla bocca di tutti e sotto i riflettori, per cui il platter che ne viene fuori è eccezionale, paritario al predecessore e, per certi versi, anche superiore. Più compatto, maturo, consapevole, con una tracklist studiata meglio e in definitiva più vario di “Abducted”, il quinto album degli Hypocrisy mette da parte intermezzi, introduzioni e ballate pinkfloydiane per picchiare subito duro e violento: il groove e la melodia brutale di “Inseminated Adoption” aprono il massacro con una decisione ed una veemenza palpabili, con chitarre motosega e un tiro micidiali. La seguente “A Coming Race” inaugura invece un lotto di tracce, fra le quali inseriamo anche “Shamateur” e “Lies”, particolari e ‘difficili’ da comprendere immediatamente: non ci sono riff thrash-death-black spaccacollo, nè passaggi memorabili, bensì epiche melodie, sorrette da keyboards esemplari, e ritmiche che subdolamente si insinuano fra le sinapsi, pian piano incollandovisi; come crescendo sinfonici e sulfurei, sono queste le tracce che denotano l’eccelsa maturità compositiva raggiunta dal combo. Chiaramente, per pareggiare queste apocalittiche e sontuose ‘sonate’, il contrappasso infernale è fortemente sollazzarsi all’altezza di fucilate quali “Dominion”, “Last Vanguard”, “Through The Window Of Time” e la distruttiva cover di “Evil Invaders” dei Razor, nelle quali i Nostri tornano a intortare l’ascoltatore con il loro storieggiare alieno e disturbante. Ma non termina in questa alternanza di canzoni-tipo la tracklist di “The Final Chapter”, perchè, se da una parte è palese l’assenza di brani depressivi e sognanti com’erano i precedenti “Slippin’ Away” e “Drained”, dall’altra abbiamo la presenza della possente drammaticità delle ottime “Inquire Within” e “Request Denied”, pezzi più ragionati e riflessivi ma che nel loro DNA posseggono anche forza sovrumana. Menzione a parte, infine, meritano i due episodi preferiti di chi scrive: la conclusiva title-track, un brano atipico e anomalo, dall’incedere tribale e ancorato ad un riff in tremolo-picking dall’enfasi roboante, in cui Tagtgren recita versi, canta filtratamente pulito, si esibisce nei suoi lunghissimi scream lancinanti…; e la spettacolare “Adjusting The Sun”, forse uno dei più brillanti ed iconici esempi delle sonorità Hypocrisy, una canzone esemplare ed esplicativa di come è e dovrebbe essere il death metal melodico: violenza estrema, groove da headbanging, riffing tecnico ma carico di melodia. “The Final Chapter”, un capolavoro fatto e finito, per fortuna smentito nel titolo pochi anni dopo con un altro masterpiece epocale targato Hypocrisy. Ma questa è un’altra storia…