8.5
- Band: HYPOCRISY
- Durata: 00:44:33
- Disponibile dal: 19/09/2005
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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E siamo a quota dieci, ragazzi! Gli Hypocrisy fanno finalmente cifra tonda…dieci full-length album nell’arco di praticamente quindici anni di carriera: “Penetralia”, “Osculum Obscenum” e “The Fourth Dimension”, i tre dischi che permisero alla band di Peter Tagtgren di farsi un nome nell’underground death europeo; “Abducted” e “The Final Chapter”, i due capolavori ufficialmente riconosciuti che portarono alle stelle le quotazioni del gruppo; “Hypocrisy”, il bellissimo disco della rinascita, dopo il tentato scioglimento; i discussi “Into The Abyss” e “Catch 22”, rispettivamente sottotono e sperimentale; il recente “The Arrival”, primo passo verso il ritorno alle sonorità di un tempo. Appunto, ritorno alle sonorità di un tempo che si completa e perfeziona alla grande con il pregevole “Virus”, superbo lavoro che – ma c’erano dubbi in proposito? – conferma Tagtgren e soci come uno dei gruppi più in grado di risultare variegato ed eclettico all’interno di un sound personalissimo e subitamente riconoscibile. Come tutti voi saprete, da circa un anno a questa parte, gli Hypocrisy sono un quartetto, grazie all’ufficializzazione del chitarrista “fantasma” Andreas Holma, ma soprattutto tramite il reclutamento di un drummer del calibro di Horgh, l’ex-Immortal giunto a sostituire il buon Lars Szoke. E bisogna dire che su “Virus” l’avvicendamento ha i suoi (benefici) effetti: rispetto a “The Arrival”, il nuovo nato è ben più aggressivo, violento ed orientato verso sonorità black, tanto da ricordare spesso, soprattutto nei brani più terremotanti, l’operato dei Naglfar sull’ottimo “Pariah”. Horgh è riuscito a dare una dinamicità maggiore al drumming ed il suo tocco personale lo si riscontra soprattutto nelle grandiose “Warpath” e “Incised Before I’ve Ceased” e nelle sparatissime “Craving For Another Killing” e “Blooddrenched”. Piace subito anche “Scrutinized”, sebbene infestata da un chorus fastidioso e sinceramente poco riuscito. Non mancano riferimenti più moderni, come ad esempio in “Compulsive Psychosis”, nella quale lo stesso titolo dà l’idea di una composizione nervosa e vicina ai suoni di “Catch 22”. Abbondano anche i classici mid-tempo sostenuti da doppia cassa, caratteristica principe della produzione Hypocrisy, e “Fearless” (una “Slave To The Parasites” meno ruffiana e meno melodica), “Let The Knife Do The Talking” e l’ondeggiante “A Thousand Lies” ne sono ottimo esempio. Tagtgren interpreta i brani con una maestria ormai impressionante, alternando profondi growl, grida lancinanti e la timbrica pulita, in un fantastico collage di sensazioni. I riff di chitarra e le parti d’accompagnamento alle tastiere sono sempre sinonimo di garanzia e non c’è davvero niente da ridire sulla felicissima riuscita di “Virus”, storico album di un gruppo che continua a fare Storia. E’ davvero incredibile come gli Hypocrisy riescano a comporre lavori eterogenei e mai ripetitivi, pur restando saldissimi sulle fondamenta del loro death melodico a tutto tondo e brutalmente confinante con il black. “Living To Die” è lo pseudo-lentone che pone fine alle malefatte di questo “virus”: non è “Paled Empty Sphere”, non è “Slippin’ Away”, ma riuscirà comunque ancora una volta a trasportarvi lontano, negli spazi siderali, fra sinistre costellazioni aliene…