9.0
- Band: ICED EARTH
- Durata: 00:46:05
- Disponibile dal: 11/11/1991
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Self
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Prima di Matt Barlow. Prima del successo commerciale di “The Dark Saga” e “Something Wicked This Way Comes”. Prima della celebrazione del culto in “Alive In Athens”, probabilmente il live album metal più famoso dagli ’90 in avanti, c’erano degli altri Iced Earth. Contigui a quelli che avrebbero spopolato da lì a pochi anni, quando il classic metal si sarebbe ripreso il suo posto di rilievo nella scena metal internazionale. Ma ancora legati a un’estetica e a un piglio underground. Più dinamici, irruenti e, concedeteci, passionali, della straordinaria macchina da hit dei due album di maggior presa, nei primi due album Jon Schaffer mette le basi per il futuro che verrà. E se, al fuori dei fan più devoti, l’era-Barlow è considerata quella di massimo fulgore, non è che “Iced Earth” e il presente “Night Of The Stormrider” siano solo frutti acerbi di una formazione ancora in cerca di una rotta ben definita. Tutt’altro. Già l’esordio omonimo, pur al netto di una performance vocale meno tecnica e roboante di quello che i fan della band godranno nel seguito – del suo autore, Gene Adam, si perderanno presto le tracce – porta con sé un manipolo di canzoni di valore, contenenti molti degli elementi che verranno perfezionati nei dischi successivi. Mentre con “Night Of The Stormrider”, grazie all’ingresso di un cantante assai più dotato quale John Greely e a un songwriting maturato in fretta nel giro di un solo anno, siamo di fronte a un vero capolavoro.
Quando si parla di grandi classici dell’heavy metal, difficilmente esce il nome del secondo full-length a firma Iced Earth. Ed è un peccato, perché esso, figlio degli anni ’80, imbevuto della loro carica e focosità, ma già proiettato nella plumbea epicità che sarà marchio di fabbrica a partire da “Burnt Offerings”, bilancia magnificamente il talento per gli agganci melodici e i refrain a effetto, cavalcate metalliche onnipotenti e quella solitaria malinconia che da lì in avanti sarà imprescindibile nei classici del gruppo. Non è un caso se in “Alive In Athens” troveranno posto molti dei brani della tracklist e le versioni griffate Barlow, in molti casi, siano affini a quelle in studio. Il riffing di Schaffer presenta, globalmente, quella che ne è forse l’incarnazione migliore. Si connota qui di un dinamismo che andrà affievolendosi col passare degli album, come raramente andrà a integrarsi così bene con la solista, che a sua volta ha in “Night Of The Stormrider” uno spazio per emergere e farsi notare non così determinante in altre release dei floridiani.
“Angels Holocaust”, aperta da faraoniche tastiere – elemento donante un tocco operistico all’insieme – mette in chiaro quanta ispirazione, voglia e carattere abbia addosso la band. Una canzone articolata, costruita in avvio sull’alternanza sprezzante di chiaroscuri toccanti e strappi affilatissimi, quindi preda di un crescendo brutale, maestoso, cavalcato da un Greely semplicemente eccezionale nello sdoppiarsi tra screaming sadico e tonalità più basse di grande effetto. Uno di quei pezzi dotati di impatto fragoroso eppure disseminati di una marea di piccoli incisi, cambi di tempo e atmosfera, quanti ne potrebbe proporre una formazione prog, ma senza altrettanta foga. “Stormrider” è appannaggio del vocione di Schaffer, che ancora oggi live si prende l’onore e l’onere di condurre le danze per questo pezzo. Composizione più stringata e ancora più heavy di quella che l’ha preceduta, presenta un mid-tempo heavy e guerriero come tanti ne arriveranno da “Burnt Offerings” in poi. I cambi di tempo sono da urlo, le ripartenze mattanze con pochi eguali nel classic metal. Thrash senza esserlo mai del tutto, il riffing di Schaffer si ammanta di una crepuscolarità fascinosissima, che pulsa ancora più forte in “The Path I Choose”. Tastiere angeliche contrastano a sferzate chitarristiche intrise di tragedia, epos e sangue, incise in profondità da un’altra grande prestazione di Greely. Si sente il clangore del metallo d’annata, accorpato a una visione fosca, dannata, cui non difetta una musicalità ancora ammiccante, in alcune melodie, ai fasti del metal inglese.
Il breve intermezzo di “Before The End” introduce a una perla nascosta del catalogo Iced Earth, ovvero “Mystical End”: incastonata fra alcuni pezzi da novanta mandati a memoria da legioni di metaller, avrebbe avuto il medesimo potenziale per diventare a sua volta un’icona per talune sonorità. Echeggiante certi modelli epici maideniani, e pure manowariani, il brano si dipana in un up-tempo in moderata evoluzione, attraversato da giri di basso estrosi e preda di un lirismo che va dalle note alte dei primi minuti a torbide invettive nella fase centrale, fino a un nuovo effluvio di energia nel finale. Schaffer lavora quasi da direttore d’orchestra, l’inspessirsi della sua chitarra dopo un frammento più quieto segna il nascere di nuovi sconvolgimenti e l’eruzione di una copiosa colata metallica. Gli arpeggi di “Desert Rain” e i suoi retaggi orientaleggianti sono uno dei simboli degli Iced Earth: Greely spende tutto se stesso in un refrain intenso e sofferto, a seguito di un incalzare nelle strofe che porta a un entusiasmante climax, prima di sciogliere il carico emotivo accumulato in un andamento più aperto e avvolgente. Cotanta maestria è doppiata da un altro giro inconfondibile, quello di “Pure Evil”, pura magia. La melodia di apertura è ingannevole, perché dà presto spazio a un power/thrash durissimo, massacrante, una gragnola di colpi che non ammette replica. La pausa acustica nel mezzo serve solo a far meglio risaltare la successiva, mefistofelica, ripartenza, dilaniata da urla laceranti di – riecheggiando il titolo – purissima malvagità.
“Reaching The End” è una breve ode acustica, poco più di un minuto per introdurre all’epicissima “Travel In Stygian”. Il gusto di Schaffer per un metal ‘da kolossal’ ha qua le sue prime avvisaglie, per un brano perfettamente diviso fra terrificanti scudisciate thrash e la voglia di ascendere a una musica più mistica e concettuale. Si inizia allora da partiture più ferali e oltranziste, per giungere a un senso di apoteosi ultraterrena e a una raffinatezza da compositore di classe superiore. Inutile rimarcare che, anche in questo caso, siamo in presenza di una canzone che farà la storia, momento clou di tanti concerti. Se siete tra quelli – e non c’è da vergognarsene, mica si può ascoltare tutto di tutti! – che poco sanno delle origini di questo gruppo ora un po’ appannato, “Night Of The Stormrider” va assolutamente riscoperto!