7.0
- Band: ICY STEEL
- Durata: 00:44:50
- Disponibile dal: 22/09/2012
- Etichetta:
- My Graveyard Productions
- Distributore: Masterpiece
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Terzo disco per i sardi Icy Steel e primo su My Graveyard Productions. Con “Krònothor” la epic metal band sassarese si presenta inoltre con il batterista Flavio Fancellu al posto di Claudio Sechi. Il nuovo lavoro prosegue sulla scia della tradizione e del classicismo scevro da ogni tipo di modernismo e fedele ai capisaldi del genere proposto quali Warlord, primi Manowar o i The Lord Weird Slough Feg più recenti e rivolti agli anni ’70. In linea con questa filosofia anche i suoni, ben bilanciati e nitidi ma naturali e più caldi rispetto al precedente “As The Gods Command”. Il sound evidenzia infatti un generale ammorbidimento che passa anche per un’approccio meno aggressivo e battagliero del cantato e per composizioni generalmente impostate su tempi medi o lenti. Nei pezzi trovano spazio anche inserti acustici, giri melodici di flauto dal taglio folkloristico e pregevoli spruzzate di hammond a cura di Gian Mario Solinas che arricchiscono i passaggi più pacati con spunti dal sapore settantiano. Senza creare nulla di particolarmente innovativo e senza mai cercare il ritornello ruffiano o la melodia catchy, gli Icy Steel riescono quindi a collezionare diversi buoni episodi come l’evocativa e a tratti doomy “Memories From The Past” o “Astrologic Centuries”, brano che tra rocciosi riff cadenzati, lente parti semi-acustiche e giri melodici armonizzati di chitarre convince per la sua struttura progressiva. Discreto anche il lento malinconico “An Epic Love”, anche se l’interpretazione vocale di Stefano Galeano a tratti non convince appieno in quanto a espressività. Da sottolineare ad ogni modo un generale miglioramento della sua prestazione rispetto agli album precedenti. Infine interessante la parte centrale con la mini suite composta da “Earth…”, “…Wind…” e “…Sky”, brani da considerarsi come un tutt’uno piuttosto vario come atmosfere, giocato sull’alternanza tra parti più lente e soffuse dalle linee vocali evocative e mid tempo più classicamente heavy dagli efficaci giri melodici di chitarra. La presenza di qualche episodio meno ispirato, tra cui citiamo “King Without Kingdom”, non pesa più di tanto su un lavoro che in virtù proprio della sua già citata avversione a soluzioni di facile presa, si apprezza nelle sue caratteristiche solo dopo più ascolti. Ci si poteva aspettare forse un salto di qualità ma ci accontentiamo anche di una conferma su standard più che discreti per questa realtà italiana che si rivolge soprattutto agli amanti del classic più tradizionalista ed epico.