7.5
- Band: IGORRR
- Durata: 00:44:14
- Disponibile dal: 19/09/2025
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Gautier Serre ci ha abituato da tempo alle sue follie musicali, in grado di miscelare in maniera schizofrenica generi molto diversi, e con molta probabilità “Amen” è il suo disco più ambizioso.
Premessa doverosa: abbiamo incensato diverse sue opere in passato, l’abbiamo trovato godibile e credibile in sede live e questa sua sesta fatica discografica è un lavoro di qualità, indubbiamente puntellato da episodi di alto livello. Eppure… lo sentite l’’eppure’ nell’aria? Ecco, la sensazione avuta dopo diversi ascolti, partiti piuttosto entusiasti, è di avere sul piatto un disco ineccepibile e prodotto egregiamente, in cui però un po’ di anima si è persa per strada e dove la follia generale la si è fatta sedere a favore di brani “semplicemente fatti strani”, i quali, presi singolarmente, funzionano bene e non possono che stuzzicare il palato di chi ama le cose sghembe, ma che spesso appaiono troppo innocui nel loro essere così ben ricamati.
Sembra quasi che ogni singola traccia voglia essere un manifesto di una diversa anima di Gautier: da quella più apertamente metal e sparata in faccia – sia nelle forme più parossistiche che in quelle fumose e oscure (“Infestis”) – passando per la drum n’bass virata alle chitarre (“Daemoni”), deliri electro-metal-lirici (Marthe Alexandre è sublime, in brani come “Limbo”), altri persino sinfonici, fino alla divertente virata à la Secret Chiefs Trio di “Blastbeat Felafel” e della suadente “Ancient Sun”. Il primo è forse il brano migliore del lotto, ma del resto ospitare Trey Spruance e Timba Harris lo rende quasi un esercizio di stile. Altra menzione d’onore per “Mustard Mucous”, una lavatrice di elettronica e riff furiosi con la presenza di sua maestà Scott Ian alle sei corde. L’amore per i Mr Bungle non è un mistero, e ha portato a due collaborazioni con membri della band di Mike Patton, a riprova di una stima corrisposta.
Ecco, è tutto davvero bello, senza ironia, e il voto lo testimonia; ma il tutto risulta un po’ troppo leccato e inscatolato all’interno di un singolo titolo, persino nei due intermezzi – perfetti, anche come momento nell’economia del disco: uno grind e l’altro acustico, ed ecco altra follia perfettamente misurata sul piatto.
Per quanto la forma canzone a volte serva, personalmente preferivamo perderci all’interno di quattro/cinque minuti imprevedibili ogni volta. Qui restano su tali binari la sola “Headbutt” – magari non il brano più esaltante, ma quello che ci ha fatto sorridere di più – e “Pure Disproportionate Black And White Nihilism”, dove dall’arpeggio iniziale ci troviamo trasportati in un sabba a metà strada tra death metal tecnico e John Carpenter.
“Amen” non è un passo falso, insomma, e anzi sarà il probabile disco del salto di qualità e quantità in termini di pubblico; ma qualcosa di quella fiamma profonda di imprevedibilità e menefreghismo di Igorrr ci pare, se non sparito, troppo addomesticato.
