7.5
- Band: IGORRR
- Durata: 00:55:36
- Disponibile dal: 27/03/2020
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Il ritorno discografico di Igorr rafforza ed espande la ricerca musicale che il mastermind Gautier Serre porta avanti ormai da quindici anni, toccando i suoi vertici sia in termini di schizofrenia, sia di effettiva forza espressiva; il tutto con una quantità smisurata di ospiti, tra cui diversi nomi che avevano già fatto capolino in passato su brani di Igorrr, e un’attentissima produzione a carico dello stesso Serre, che voleva evidentemente mettere a segno il suo magnum opus – almeno per il momento – unendo intuizioni registrate all’impronta alla meticolosità del direttore d’orchestra.
Emergono da subito le forti influenze orientali, dall’uso delle scale musicali tipiche dell’area all’inserimento di strumenti tradizionali; per esempio l’oud che impreziosisce il primo brano, una celebrazione della forza della Natura nei deserti sconfinati del Medio Oriente. Non stupisce, quindi, la presenza su disco di musicisti orbitanti intorno ai Mr. Bungle o al progetto Secret Chiefs 3, un’altra band che ha saputo legare in maniera schizoide ma formidabile grind metal, elettronica e musica tradizionale. Ed è su “Very Noise” che esplode particolarmente la similitudine, con il suo breakcore violentissimo e sincopato, per poi ricomparire in brani che profumano di spezie, carovane e danze tradizionali come “Camel Dancefloor” (con il basso di Erlend Caspersen a svolgere un ruolo fondamentale) oppure “Overweight Poesy”, dove un Qanun filtra egregiamente con loop drum n’bass e riff compressi. Restano quindi potenti le due matrici breakcore e metal, da sempre fulcri del suo sound, ma l’altra grande influenza che Gautier Serre confessa come centrale nella composizione di “Spirituality And Distortion” è quella della musica barocca: e sebbene sepolto sotto stratificazioni metalliche o sintetiche, non è difficile rilevarlo. Ben tre brani (“Nervous Waltz”, “Paranoid Bulldozer Italiano” e “Barocco Satani”) vedono anche il ricorso al clavicembalo, improbabile, eppure funzionale e molto affascinante. E il secondo brano del terzetto sintetizza in qualche modo la ricerca dietro il lavoro, dato che le tre parole del titolo corrispondono proprio alle diverse componenti qui racchiuse, e ci fanno sballottare in meno di quattro minuti tra grind, aria lirica ed elettronica. “Parpaing” è death metal di stampo tradizionale, con qualche spruzzo progressivo basato su esilaranti inserti 8-bit, e l’inconfondibile voce di George ‘Corpsegrinder’ Fisher, che Gautier definisce come il suo assoluto eroe musicale, a impreziosire il risultato finale; e ovviamente a seguire e a scardinare gli equilibri troviamo la rivisitazione psicotica di una classica aria francese di “Musette Maximum”, dove pure non mancano inserti death. Al centro del disco trova posto il brano più lungo e ambizioso, “Himalaya Massive Ritual“: una vera montagna da scalare in equilibrio tra riff massicci, strumenti acustici e la voce di Laure Le Prunenec che, come in quasi tutti i brani, fa un lavoro strepitoso tra vocalizzi e momenti più squisitamente operistici, donando un afflato profondamente meditativo. Abbiamo già citato un paio di brani che trovano posto nella seconda metà del disco, che si configura come il lato più cupo del lavoro, con un finale che rende quanto sentito finora quasi accessibile, immediato: “Kung-Fu Chèvre” riassume tutto quanto presente in precedenza aggiungendo ulteriori strumenti folkloristici e possenti movenze balcaniche e funky.
C’è insomma di tutto e di più, e la cosa bella è che funziona. Certo, non è un album che conquista al primo ascolto, la ricchezza di riferimenti musicali e di contrasti richiede molta attenzione e approfondimento; ma è proprio il modo in cui loop, frammenti, intersezioni inattese creano e mischiano sensazioni e atmosfere agli antipodi con meticoloso amore a farne un gran lavoro.