8.0
- Band: IHSAHN
- Durata: 00:54:59
- Disponibile dal: 04/05/2018
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
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Dal ruolo di aristocratico principe delle tenebre, a quello di sacerdote della sperimentazione colta, Ihsahn è approdato con “Arktis.” alla dimensione di attento modellatore di suggestioni musicali contemporanee e datate. Lo sfavillare di riff classic metal, rivestiti di polvere di stelle e magnificenza sensazionalistica, dell’ultimo disco viene ora filtrato da una spessa cupezza di fondo, che lascia intatta la visione più ‘terrena’ della materia metal sfoggiata dall’artista norvegese di recente. Per “Àmr” appare ancora più evidente la concentrazione sulla forma canzone, la meticolosa architettura di brani che recuperano il gusto genuino per sferragliate black metal nude e crude, il dolce arenarsi in un prog rasserenato, in cui gesticolano alacremente synth mirabili nel disegnare atmosfere oniriche di difficile lettura. A confronto dello stupore ingenerato dal predecessore, dotato di attacchi ammalianti, faraonici nel gettarci addosso il talento visionario del singer degli Emperor, “Àmr” potrebbe sembrare inizialmente un pigro, seppur lodevole, giocare sul sicuro; tratti familiari, nessuna escursione in ambiti sorprendenti. Eppure la qualità delle composizioni, ce ne rendiamo conto durante ascolti ragionati, rimane altissima. “Lend Me The Eyes Of The Millenia” ci mette alla frusta, tiranneggiando di doppia cassa, chitarre affilate e screaming vecchia maniera; anche le arie sinfoniche riportano a una grandeur di un paio di decenni addietro, ma c’è il ballonzolare dei sintetizzatori a ricordarci in che anno siamo e che tipo di album stiamo ascoltando. Così già da “Arcana Imperii” distensioni rilassate e un pulito calmissimo entrano in campo, alternandosi a un lavoro di chitarra martellante e dettagliato, la consueta enciclopedia di prog attitudinalmente estremista e intorbidato di pulsioni malvage. La crescente attenzione per gli andamenti lento-romantici dà la sua piena manifestazione in “Sàmr”, assimilabile a una vera e propria ballad, dove il piano scandisce il tempo e la metrica, i cori rincuorano, l’apparato sinfonico gronda rassicurante eleganza. La rappresentazione di sé data da Ihsahn diventa quindi enigmatica, labirintica, quando arriviamo a “One Less Enemy”, canzone che riflette la trasversalità di pensiero del polistrumentista nordico; la teatralità la fa qui da padrone, i chiaroscuri si intervallano a sforbiciate irregolari, le voci si sovrappongono creando un alone di incertezza quasi impenetrabile. “When You Are Lost And I Belong” si permette addirittura di mettere sullo sfondo le chitarre, lo svolgimento è affidato a percussioni rigorose e synth liquidi, mentre la voce accarezza soffusa, creando un effetto di pace alienata non lontanissima da talune iniziative dei Leprous di “Malina”. “In Rites Of Passage” avvampa al contrario di ben altra frenesia, ritmiche ed elettronica fanno idealmente a gara nello scatenare imprevedibilità e stordimento, sfregiate da vocalizzi alla carta vetrata, oppure calmierate da clean vocals sonnacchiose. La rifinitura maniacale dei dettagli si riflette in ritornelli facili da mandare a mente, fronte sul quale ha probabilmente la riuscita migliore quello di “Marble Soul”, per il suo crescendo menestrellesco, incastonato fra stacchi brutali e arie arcobaleno. Colpi di batteria attutiti e brume di sintetizzatori ovattati sono il biglietto da visita di “Twin Black Angels”, il tono di sognante narratore calza a pennello a Ihsahn in un pezzo dotato di linee vocali al limite del pop. Tocca velocità vertiginose la conclusiva – almeno per l’edizione ‘regolare’ dell’album – “Wake”, un riuscito mix di power metal, sventagliate scenografiche accostabili al Devin Townsend solista e qualche spruzzata di Emperor, in arrivo dalla loro fase discografica finale. Quel che viene relegato a bonus track, e avrebbe meritato collocazione centrale nel disco, è la suite “Alone”, rilettura dell’omonima poesia di Edgar Allan Poe. Un piccolo musical extreme metal, nel quale gli elementi espressi nelle tracce precedenti si ritagliano spazi più rilevanti e l’indole progressive esce rafforzata, sfavillante in un viaggio sonoro lungo e pittoresco. Le orchestrazioni acquisiscono una magnetica imponenza, Ihsahn si districa disinvolto fra i diversi movimenti, bestia ferita oppure aedo disincantato. Il connubio elettronico-sinfonico è ciò che fa svoltare “Alone”, in bilico fra ruvidezza e aristocratica altezzosità. Chiamato a tenere fede alla sua grandezza, con “Àmr” Ihsahn non ha tradito nemmeno stavolta le attese.