8.5
- Band: IHSAHN
- Durata: 00:57:20
- Disponibile dal: 08/04/2016
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
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La parola d’ordine di “Arktis.” è serenità. Quella introiettata con gli anni, l’esperienza, la presa di coscienza di quali siano le cose importanti nella vita. Assieme all’equilibrio personale, negli affetti, a una visione musicale sempre più ampia e profonda, ecco pervenire nella mente di Ihsahn la necessità di decriptare una volta per tutte l’immenso bagaglio di conoscenze accumulate in una carriera oramai vastissima e offrircene i frutti migliori senza porre barriere nella comprensione. Il sesto album solista del pirotecnico polistrumentista norvegese è quello che meno di tutti può fregiarsi dell’etichetta di ‘avanguardistico’, perché la spinta a reinventare la ruota non diciamo si sia sopita, questo difficilmente accadrà in un futuro prossimo venturo, però si è diluita nel desiderio di architettare prima di tutto grandi canzoni. Invenzioni dove a lasciare piacevolmente interdetti, ammirati e concupiti, non è la presenza di ardite esplorazioni nell’iperspazio del metal contemporaneo, quanto il riassunto magistrale di atteggiamenti, idee, concezioni che Ihsahn ha frequentato precedentemente, oppure ha assimilato nella giovinezza, e ora restituisce con dovizia di particolari e un’inarrestabile ispirazione. “Arktis.” è probabilmente l’album più diretto mai realizzato dal Nostro, gli intellettualismi di alcuni capitoli discografici precedenti sono presenti in misura nettamente inferiore, si respira una gran voglia di metal verace, pur rimodellato nei significati e nella forma dalla sensibilità progressiva in senso estremista che, al netto di tutti gli esperimenti condotti da Ihsahn, rappresenta la cifra comune dei full-length a nome Emperor e di quelli solisti. Peschiamo nel mazzo andando un po’ avanti e un po’ indietro nella tracklist, facendoci guidare dall’istinto nel condurvi ad alcuni dei tratti salienti del disco, nel quale ogni traccia meriterebbe una trattazione a parte, tanto ci offre spunti di interesse e un altro affascinante lato del poliedrico universo di questo patriarca dell’extreme metal. Intanto, c’è “Mass Darkness”, primo biglietto da visita reso noto già a dicembre 2015: immaginiamo in tanti abbiano strabuzzato gli occhi nel sentire questo improbabile, ma riuscitissimo, incrocio di prog, black metal, Judas Priest e shredding, scompaginato da cori impattanti che starebbero stati bene anche in un album di bombastico power metal moderno. Una canzone stupenda, solo difficile da accettare, per qualcuno, da un personaggio tutto d’un pezzo come l’ex singer degli Emperor. Bene. Chissà allora cosa potranno pensare costoro durante “In The Vaults”, aperta e sorretta da un riff di hard rock celestiale, ampio foulard di seta apposto su inquietudini attuali e vecchie ferite mai cicatrizzate, nella quale la chitarra dipinge pochi, grandiosi arabeschi, e le voci si rincorrono in graziosi balletti polifonici. Affiorano echi dell’heavy metal patinato di gestazione americana nell’attacco di “Until I Too Dissolve”, che però muta presto pelle per entrare nei deliziosi reami del prog nordico. Ihsahn padroneggia le clean vocals in maniera superba, in “Until I Too Dissolve” quasi aderisce ai passaggi più eterei di Devin Townsend, ricordandosi comunque di piazzare ottime zampate anche nello screaming. La quantità e la qualità delle ritmiche è un altro aspetto degno di nota, la batteria di Tobias Ørnes Andersen (in line-up negli Shining norvegesi) si muove controllata e tentacolare, consentendo alle chitarre di grondare maestosità pur non eccedendo mai in soluzioni troppo intricate. La semplicità d’azione, dopotutto, permane anche nei capitoli più elaborati e stranianti, che vedono agire in un connubio algido e quasi metafisico synth e chitarre, piroettanti fra sezioni aperte e distese, e altre veementi e adrenaliniche. Ritornano in più punti gli ultimi Emperor, quelli di “Prometheus – The Discipline Of Fire & Demise”, riportati prepotentemente alla luce dal black sinfonico irruente che scoppia nel mezzo di “Pressure”, o in rapidi stacchi emergenti nell’opener “Disassembled”. In “Crooked Red Line” per una volta Jørgen Munkeby si limita a condurre il suo sax in lingue di fumo avvolgenti, tutt’attorno a una track scoperchiante la grazia crepuscolare di Ihsahn, alle prese con ambivalenti chiaroscuri, in successione fra immagini in rapida dissolvenza, che quasi aprono a scenari burrascosi e presto si quietano in contrappunti arpeggiati rassicuranti, languidi e calorosi. Il duetto con Einar Solberg dei Leprous, durante “Celestial Violence”, conduce semplicemente a quanto enunciato dal titolo: un concentrato di spassionata energia metallica che divora le stelle, brillando accecante di un pathos ultraterreno, erculeo ma gentile, pulito e puro come una tersa mattinata invernale. Riverberi di luce nordica inondano la poetica elegiaca di “My Heart Is Of The North”, un po’ ballad, un po’ serpentina incandescente emettente grazia e leggiadria in ritmi singhiozzanti, mai domi e mai lineari. Gli scatti, le deviazioni, i piccoli fill ritmici che scuotono ogni pezzo non fanno mai cadere nel lineare le tracce, le pungolano a un grado di complessità che a tratti ci sfugge, ammaliati come siamo dalle melodie siderali dominanti. Restano da citare i capitoli più compromessi con l’elettronica, ovvero “South Winds” e “Frail”. La prima, in partenza si presenta come un crogiuolo di pulsazioni aliene e sinistri fraseggi, poi sprofonda nella dolcezza e nella malia di un refrain fatto apposta per farvi struggere e rasserenarvi. La seconda ci investe di un loop funambolico ed evolve smodata fra chitarre thrash, stacchi di tastiere in clima da musical, vocalizzi sospiranti e quasi beffardi, ancora una volta assolutamente perfetti, tagliati a misura della canzone e mai eccessivi. Curiosa, ma non trascendentale, la bonus track zeppa di spoken word “Til Tor Ulven (Søppelsolen)”, esperimento gradevole che poco aggiunge al valore di un album formalmente e sostanzialmente inattaccabile. Il Maestro norvegese non solo si è confermato, è stato in grado perfino di superarsi rendendo più assimilabile del solito anche ai non adepti la sua prorompente musicalità. Nelle classifiche di fine anno, siamo sicuri che “Arktis.” lo vedrete molto in alto. Non fatevelo sfuggire.