8.0
- Band: IHSAHN
- Durata: 01:37:12
- Disponibile dal: 16/02/2024
- Etichetta:
- Candlelight
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Rimettere la chiesa (bruciata) al centro del villaggio. È quel che ha fatto Ihsahn con il suo ultimo album solista, non a caso omonimo, a segnare una ripartenza e un abbracciare i concetti a lui più cari. Il black metal, le sinfonie, la spinta all’avantgarde, le melodie maestose, la grandeur e il cerebralismo. Tutte cose che si erano illanguidite e annacquate nei due EP “Telemark” e “Pharos”, molto più quieti, morbidi, vicini al progressive rock e a una mansuetudine completa che parevano condurre a un inesorabile cambio di rotta del polistrumentista norvegese.
“Ihsahn” avvampa invece di energia, voglia di metal, desiderio di ritemprarsi e ritemprare con un’opera che associ magniloquenza, violenza, una ferocia figlia degli Emperor e un’incendiaria vena creativa, che riporti il black metal sinfonico ad alte vette compositive e sensoriali. Ritornare alle radici, per slanciarsi in avanti, un’operazione maneggiata magnificamente da Ihsahn in questa sede.
Presentato in due versioni contemporaneamente in uscita – una metal e cantata, l’altra orchestrale e strumentale – “Ihsahn” nasce dall’idea di sviluppare un concept di extreme metal sinfonico nel quale le orchestrazioni potessero vivere di un’esistenza propria, potendosi staccare dalla componente metallica e mantenere anche da sole forza e senso. Partendo da questo principio, il musicista norvegese ha ritrovato nel frattempo anche la sua usuale potenza creativa, appannatasi con i due ultimi EP.
È così allora che il disco conferma in pieno quanto si è formato nella testa del suo autore: tanto le partiture metalliche, quanto quelle sinfoniche attraggono per la loro drammatica forza espressiva, con le orchestrazioni ad ergersi particolarmente austere, opulente e variopinte. Qualcosa di epico e ineluttabile nella loro grandezza e capacità di suggestione, che va poi in effetti a far scaturire una versione orchestrale del disco che ha molti punti in comune con quella metal. Sono due facce della stessa medaglia, strettamente legate tra di loro, non qualcosa di antitetico.
“Pilgrimage To Oblivion”, primo estratto del disco presentato a novembre, è emblematica dell’Ihsahn-pensiero odierno: un brano veloce e intricato, serrato e ricco di cambi di tempo, con le mutazioni di umore e stile perfettamente sottolineate da impennate umorali delle orchestrazioni. Queste sono pensate per avere un ruolo ampio, dare una caratterizzazione atmosferica forte ed essere elementi di narrazione quasi al pari della voce, che si destreggia con sicurezza tra uno screaming sempre urticante, e dei puliti onirici.
“Ihsahn” funziona benissimo sia preso un pezzo alla volta che nella sua interezza, manifestando un’urgenza e un impatto perfino superiori alla media della discografia passata del musicista nordico. Anche quando ci si apre a toni più meditati e ampi, perlustrazioni nell’animo più cupamente romantico del compositore, permane una certa tragica crudezza, come nella prima parte di “A Taste Of Ambrosia”, che difatti nella sua seconda porzione si intorbida e deflagra in moti assai più inquieti.
La presenza di molte percussioni più affini a registri sinfonici che non strettamente metal alimentano di severa nobiltà l’album, che in alcuni frangenti (tipo le misteriose trame di “Blood Trails To Love”) si riallaccia propone venature dark, stratificazioni di suono e chiaroscuri tipici dell’avantgarde black metal novantiano.
Le ariosità del progressive sono ancora presenti, seppur rese notevolmente più spigolose e arcigne, tramite intrecci di chitarre e orchestrazioni che in diverse occasioni lasciano spiazzati, ma non si rivelano troppo eccentriche per il contesto nelle quali sono poste. Per la particolare alchimia tra soluzioni poco ortodosse e asprezza black metal, il paragone più credibile per questo nuovo disco è l’ultimo lavoro a firma Emperor, quel “Prometheus – The Discipline Of Fire And Demise” che chiuse nel 2001 la discografia della band.
A fronte dell’abbondante magnificenza della sua versione metal, quella orchestrale potrebbe suonare come una semplice versione secondaria. Questa, in verità, palesa un suo forte carattere dalla prima all’ultima traccia, dimostrando che il disco è stato realmente costruito per avere una sua coerenza in entrambi i casi. L’”Ihsahn” orchestrale può sicuramente risultare più pesante e meno vibrante, a un orecchio più propenso al metal, però non stanca e si mantiene vivace e trascinante, senza divenire troppo pretenzioso.
Da Ihsahn siamo abituati ad attenderci materiale di alto profilo e mai sotto una certa soglia di inventiva, ancora una volta questa leggenda del black metal norvegese è riuscito a soddisfarci, regalandoci in chiave solista quella che è forse la musica più vicina a quella della sua prima band. In ogni caso, questo “Ihsahn” sarà probabilmente uno dei dischi più ascoltati, celebrati o comunque discussi di questo 2024.