7.5
- Band: IMHA TARIKAT
- Durata: 00:45:14
- Disponibile dal: 11/12/2020
- Etichetta:
- Lupus Lounge
- Distributore: Audioglobe
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Ruhsuz Cellât, il mastermind degli Imha Tarikat, non è certo un nome particolarmente noto della scena black metal; tuttavia, per chi avesse ascoltato quanto pubblicato finora dalla band turco-tedesca, le aspettative erano parecchie: ci troviamo infatti di fronte alla prova del nove della terza uscita, dopo un buon EP e un album decisamente di altissimo livello, e per fortuna non si resta delusi.
Dietro il loro look misterioso come da consolidata prassi, gli Imha Tarikat perseguono il loro cammino, intrecciando con le chitarre zanzarose riff ipnotici e momenti cupi e trasognati insieme, secondo quella scuola che ha nei Mgla i suoi moderni capofila. Ma il sound di questo duo prende a piene mani anche dall’impetuosità made in Norway e dalle melodie del black svedese in parti uguali, donandoci un disco forse non epocale, ma che entra subito in testa e piazza la band definitivamente sotto il nostro radar. Rispetto al full-length di esordio vengono qui estremizzati i poli musicali: c’è una furia ancora maggiore, complice un inasprimento delle linee vocali, molto più quadrate, e una variegata ricerca verso lidi più pacati. Abbiamo un’inedita componente quasi psichedelica, che fa capolino fin dal pezzo di apertura, nella peculiare fuga ariosa delle chitarre, e un gusto non indifferente, sicuramente figlio di una formazione musicale classica, che esplode sulla traccia conclusiva: il titolo denota una certa prosopopea, a dirla tutta (“Cosmos Dissolving”), ma nella sua intensità straziante valica alla grande i limiti di noia della scontata outro per pianoforte, mentre in mezzo ci sono varietà e brani ben costruiti.
È difficile dire se le origini turche contribuiscano a definire quell’afflato vagamente folk che emerge in taluni brani, per quanto in forma diversa; dalle ampie aperture armoniche di “Kreuzpunkt Der Schicksale” al tribalismo furibondo di “Klimax Downpour”, l’unica certezza è la personalità spiccata di una band che, in una scena dove la condanna sembra quella di poter emergere o emozionare solo guardando agli incappucciati dell’Est – una strizzatina d’occhio va anche ai Drudkh, in effetti – si adegua senza affossare un sound personale.