8.0
- Band: IMMOLATION
- Durata: 00:52:15
- Disponibile dal: 18/02/2022
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Autorevole. Se ci venisse chiesto di descrivere con un solo aggettivo l’atteso comeback degli Immolation, questo probabilmente sarebbe il primo a venirci in mente. Autorevole nell’interpretazione, autorevole nella forma e – ovviamente – autorevole nei contenuti, secondo quella che ormai può essere considerata una certezza, una costante destinata a ripetersi nel tempo senza subire grosse variazioni: insieme ai ‘soliti’ Cannibal Corpse e (in misura minore) ai vicini di casa Incantation, i Nostri incarnano la massima espressione di risolutezza applicata al verbo del death metal americano. Laddove molte altre leggende degli anni Novanta hanno visto la loro creatività precipitare in un loop di stop e ripartenze che, a lungo andare, ne ha minato la rilevanza all’interno della scena (Obituary? Morbid Angel? Deicide?), Ross Dolan e compagni si sono resi protagonisti di un cammino artistico sicurissimo e di un progressivo affinamento della tecnica e del linguaggio, dando l’impressione di non volersi mai adagiare sugli allori di un passato lontano e – di conseguenza – impegnandosi più che a fondo nel confezionamento di ogni loro nuova opera.
“Acts of God”, undicesima tappa di questo vagabondaggio tra le sfere del buio e della luce, segue un album fortunato e mirabile come “Atonement”, e si allinea perfettamente al trend soprascritto in un fluire di soluzioni tanto familiari quanto appaganti; una lunga carrellata di brani (mai prima d’ora il gruppo newyorkese si era cimentato in una tracklist così vasta) che, senza magari estrarre dal cilindro una hit folgorante e distinguibile come “Destructive Currents”, indovina praticamente ogni sua mossa, racchiudendo in poco più di cinquanta minuti di musica tutte le caratteristiche che abbiamo avuto modo di saggiare dalla pubblicazione di “Harnessing Ruin” in avanti.
Il disco si muove fondamentalmente in due direzioni: da un lato, una serie di cupe fustigate che mettono innanzitutto in risalto lo strapotere di Steve Shalaty dietro i tamburi e la compattezza di un riffing ingegnoso ma sempre squisitamente ferale, con tanto di gradite digressioni thrasheggianti; dall’altro, un pugno di episodi utili a spezzare il ritmo, conferire profondità all’ascolto e accompagnarci in un purgatorio di solennità e peccato all’interno del quale il growling raggiunge vette di intensità straordinarie, dando poi modo alla vena epica e al gusto melodico di Rob Vigna di esprimersi con il consueto mix di classe e potenza. Ne consegue un’esperienza sensoriale avvolgente e dinamica, immortalata con abili pennellate su una tela in cui il nero è prevedibilmente il colore dominante, ma che ha l’accortezza di non precludersi accecanti punte di colore.
Uno sfoggio di geometrie oblique e giochi di rifrazione che, portato in trionfo dalle ottime “An Act of God”, “The Age of No Light”, “Noose of Thorns” e “Overtures of the Wicked”, coincide con l’ennesima grande prova di questi eroi del death metal.