7.5
- Band: IMMOLATION
- Durata: 00:45:03
- Disponibile dal: 05/03/2010
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Introdotto da una copertina meravigliosa, ecco arrivare sul mercato l’ottavo album degli storici death metaller newyorkesi Immolation. “Majesty And Decay” è esplicativo sin dal titolo (e dall’artwork, come appena accennato) e ci mostra a tratti il lato più darkeggiante ed epico della band capitanata dal mitico Ross Dolan; già con i precedenti “Harnessing Ruin” e “Shadows In The Light” i nostri avevano iniziato a seguire una direttrice che giocoforza li ha ora portati a comporre un lavoro molto interessante, stimolante e sempre e comunque massacrante. Non dimentichiamoci che gli Immolation, nonostante il loro sound si sia arricchito nel corso degli anni e degli album, rimangono sempre degli alfieri del death più incompromissorio e tetragono ed il loro principale trademark distintivo, ovvero la dissonanza chitarristica, rimane quasi sempre in primissimo piano. Prova ne siano le classiche “The Purge”, “A Thunderous Consequence” e “Power And Shame”, soprattutto le ultime due tese a richiamare il glorioso passato del quartetto. La vera punta di diamante di “Majesty And Decay” è senza ombra di dubbio “A Glorious Epoch”, dove il death metal incontra l’epicità come quasi mai prima d’ora era successo all’interno del songwriting del gruppo: un certo pathos era sempre più o meno presente nei loro brani, ma qui si è raggiunto l’apice in questo senso. Dolan e soci non rinunciano a picchiare duro, ma riescono ad inserire delle variabili chitarristiche melodiche che, nel contesto risultano vincenti. Altri pezzi da novanta sono la title track, con il suo maestoso incedere in mid tempo, la conclusiva “The Comfort Of Cowards”, che si pone nella scia di quanto fatto nei precedenti due album e l’ottima “The Rapture Of Ghosts”, death metal song piuttosto tecnica e che racchiude in sé partiture thrashy ed un finale mutuato direttamente dalla scena heavy epic! Vi sono anche brani più veloci e diretti, come “Divine Code”, seguito però da “In Human Form”, con passaggi al limite del downtempo. Insomma, gli Immolation colpiscono grazie ad un songwriting ispiratissimo e ad una padronanza sui tempi medi che ormai è da manuale. La line up, stabile da qualche anno a questa parte, ha permesso di creare dei veri e propri macigni sonori. La batteria di Steve Shalaty è praticamente perfetta e offre dei passaggi quasi mai scontati, ben supportata dal basso di Dolan; le chitarre di Bob Vigna e di Bill Taylor non si limitano al riffing dissonante, ma osano anche avventurarsi in territori maggiormente melodici. A trarre vantaggio da questa concezione sono gli assoli, sempre interessanti, spesso esaltanti, come nel caso dei primi tre brani della tracklist (intro esclusa). Della voce di Ross Dolan c’è poco da dire: la sua ugola non è mai stata e mai sarà la migliore sulla scena, ma, a quasi venticinque anni dalla nascita della band, il suo growl non è mai calato d’intensità e ad ogni album che passa il singer sembra dare il meglio di sé. Che dire ancora? Rimane solo da ringraziare la band per l’ennesima perla di una discografia povera di riconoscimenti ma ricca di qualità.