8.0
- Band: IMMORTAL
- Durata: 00:42:14
- Disponibile dal: 06/07/2018
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Demonaz e Abbath: la coppia Lennon-Mc Cartney del black metal, o con paragone meno nobile (almeno per uno dei due), i Mogol-Battisti del genere, da quando purtroppo una tendinite cronica ha limitato drasticamente la carriera chitarristica del primo. Sembrava scontato che, dopo il tumultuoso split di qualche anno fa, il blasone dell’avventura Immortal dovesse restare nelle mani di Abbath, dal punto di vista musicale; ed è indubbio che l’esordio da solista di questi sia stato, pur con qualche limite, la naturale prosecuzione della strada intrapresa già in questa band. Ma se veniva scontato dare per morti gli Immortal superstiti, dato anche lo scarso apporto compositivo di Horgh, essere smentiti in questo modo è un vero piacere. “Northern Chaos Gods” è un ritorno a livelli elevatissimi, dove le differenze con quanto sentito fino a “All Shall Fall” sono solo due; il cantato di Demonaz, che fortunatamente non imita Abbath, ma si mostra comunque capacissimo, e la strada intrapresa per dare continuità: questo è un bivio temporale che parte a metà strada tra “Pure Holocaust” e “Battles In The North”, in cui la ferocia primordiale e l’epicità originaria degli Immortal tornano in piena forma, senza banali operazioni nostalgia.
L’opener e titletrack ci trasporta subito, vorticosamente, nel mondo di Blashyrkh, dove sono le tempeste di neve e le raffiche di vento evocate dalla ritmica forsennata a cadenzare il tempo; c’è anche una certa orecchiabilità, però, e non a caso il ritornello entra subito in testa: così come il riffing e gli assoli di Demonaz, per cui davvero il tempo non sembra essere passato. “Into Battle Ride”, come da titolo, procede ulteriormente sulla strada evocativa: dopo aver varcato i confini del mondo creato dalla band, è tempo di affilare le spade e sellare i cavalli, sostenuti da un riff che sembra essere uscito dal 1993, ma con una produzione all’altezza del 2018 e con un gusto epico nei bridge che riporta invece agli anni centrali della carriera degli Immortal; e non a caso parte a seguire il primo brano che anche nel titolo ci dice che nulla è cambiato: “Gates To Blashyrk”, uno degli apici del disco. Un riff memorabile e ipnotico, la comparsa del primo di una serie di arpeggi di chitarra da urlo e commozione e una serie di stop’n’go che incidono questa traccia nella storia della band. Da questo punto in poi l’album va in discesa, in senso buono: “Grim And Dark” e “Called To Ice” sono due brani in cui l’ossessività oscura e l’acidità della voce costruiscono una manciata di minuti quadratissimi, la cui formula tornerà più avanti in “Blacker Of Words”. Ma quest’ultima è solo un (ottimo) intermezzo tra due capolavori: è di nuovo la componente epica a tornare in primo piano su “Where Mountains Rise” e la conclusiva “Mighty Ravendark”: due pagine cupe, trascinanti ed emozionanti, soprattutto la seconda; quasi dieci minuti di viaggio perfetto attraverso tutte le anime degli Immortal e tutti i sentieri di Blashyrk, in cui l’amore per i Bathory – confessato senza timori da Demonaz in una recente conversazione – emerge con forza e classe.
Tra le altre candide ammissioni emerse nell’intervista che abbiamo fatto al leader della band, c’è la possibilità che Demonaz possa anche tornare a suonare la chitarra in sede live, grazie al buon esito di una recente operazione: è a questo punto evidente che gli Immortal sono tornati tra noi a pieno titolo, e si sente.