9.0
- Band: IMMORTAL
- Durata: 00:33:47
- Disponibile dal: 01/11/1993
- Etichetta:
- Osmose Productions
- Distributore: Audioglobe
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Ad un anno dall’onesto, ma sotto certi punti di vista acerbo, debut album, gli Immortal tornano sul mercato con un manifesto di violenza pura e schietta che non solo sa accostarsi senza timore alle uscite pazzesche del 1993, ma riesce anche a ritagliarsi un posto di rilievo tra gli album più importanti partoriti dall’intero panorama norvegese. “Pure Holocaust” è un proclama, un compendio di temperamento e brutalità, il titolo dell’opera è quanto mai esplicativo e lascia chiaramente intendere le mire della band. Un inferno sonoro, un pericolo che arriva dalle tundre, dalle foreste ricolme di tenebra, una tempesta di ‘demoni con volto d’ombra’: otto brani in cui non si respira che furore e nei quali i cali di tensione non sono contemplati, come in una notte in balìa della natura, senza riparo né tregua. Le immagini cantate sono quelle da sempre care ai due factotum, all’epoca ancora noti come Abbath Doom Occulta e Demonaz Doom Occulta, e mentre i colleghi si concentrano sulla misantropia per il tramite di Satanasso, gli Immortal elogiano, all’alba della creazione del fittizio mondo di Blashyrk, la natura nelle sue forme più ancestrali e atroci, una minaccia da nord che avvolge con il suo perenne inverno tutto e tutti, senza vie d’uscita né redenzione. Oltre a un uso delle liriche che nel black metal può suonare oggi meno atipico di quanto non fosse all’epoca (il satanismo viene praticamente ignorato), le chitarre di Demonaz riescono ad evidenziare appieno quanto proposto a livello concettuale, suonando glaciali e distaccate dalla realtà, così come il cantato di Abbath prende la forma che poi diventerà tra le più conosciute nel mondo del black metal (complice anche una globale ironia a riguardo), uno stridere che sa realmente trascendere la forma dell’espressione umana, suonando come emanazione diretta di qualche fetido aborto della terra. Un Abbath peraltro in forma smagliante, che oltre a voce e basso registra anche una batteria efficace nel sottolineare la nefandezza descritta dalle composizioni – sebbene nel booklet venga accreditato Erik, che effettivamente si unirà poi per l’aspetto live. Il disco si apre con “Unsilent Storms In The North Abyss”, pezzo in cui le intenzioni belligeranti vengono riassunte in poco più di tre minuti: un’entrata nervosa e un drumming forsennato aprono a chitarre alte e ad una voce che dall’oltretomba interviene in un cambio di tempo eccezionale e un ritornello che seccamente non fa altro che ripetere il titolo del brano su un tappeto di ghiaccio, pronto a dare voce a “A Sign For The Norse Hordes To Ride”, altro momento che non risparmia una goccia di sudore: assenza di intro, cambio con chitarre altissime, un riffing vario ma che è parte di un unico sostrato, e l’introduzione di quelli che saranno poi i trademark della band, tra sfuriate e pura e fredda oscurità. “The Sun No Longer Arises” aggiunge se possibile altro buio, altro pessimismo, disegnando uno dei pezzi più iconici della band con una strofa arpeggiata e rallentata che sembra trasmetterci il gelo della tempesta di neve nella quale siamo stati abbandonati. Segue “Frozen By Icewinds”, la cui apertura prosegue la struttura del precedente, presentandosi inarrestabile, ineluttabile, con la voce di Abbath che diventa ancora più annichilente, negativa, estrema. “Storming Through Red Clouds And Holocaust Winds”, oltre ad avere un titolo bellissimo dal gusto vagamente naïf, è, come da intenti, puro inferno, una deflagrazione che non lascerà sopravvissuti sul campo, né vincitori né vinti, solo distruzione: blast beat perenne, chitarre che continuano a variare senza mai perdere di vista il punto focale e un ritornello, se così possiamo chiamarlo, che diviene vero e proprio inno di battaglia. Gli Immortal non hanno voglia di farci sconti, chiarendo il punto con una doppietta di una brutalità unica: la cadenzata, oppressiva “Eternal Years On The Path To The Cemetary Gates” lascia il passo al midtempo arpeggiato di “As The Eternity Opens”; se il Male imparziale delle forze terrene ha mai avuto un suono, esso è di sicuro questo, con un bridge serratissimo, riff che sembrano provenire dall’Ade, un senso di aridità, di disidratazione, di morte della vita stessa. “Pure Holocaust” si chiude infine con la sua title track: un inizio in fade-in ci ricorda che l’inferno non ha capo né coda, semplicemente esiste. Le chitarre sono furiose, non trovano requie, la batteria è impazzita e arie wagneriane irridono un’umanità oramai spazzata via, l’anomalia estirpata, l’ordine naturale delle cose tornato alla sua forma primordiale e sempiterna, il gelo a regnare incontrastato e infinito. Alla fine del disco siamo esausti ed appagati, ci sembra di essere usciti da ore di ascolto, eppure abbiamo superato appena i trenta minuti. “Pure Holocaust” è uno di quei capolavori che dovrebbero fare parte della collezione di ogni metallaro che si rispetti, quale che sia il sottogenere preferito; è anche – permetterete la piccola digressione – il primo disco propriamente black metal che lasciò tramortito l’allora quattordicenne sottoscritto, ammaliato dal minimalismo, dalla produzione istintuale e grezza, che accentua se possibile il freddo che si insinua nelle ossa durante l’ascolto di questo disco senza tempo, e che colloca gli Immortal tra i gruppi fondamentali di tutto il genere. Basilare.