6.0
- Band: IMPALED
- Durata:
- Disponibile dal: //2002
- Etichetta:
- Century Media Records
Curioso destino questo degli americani Impaled: nati da una costola degli Exhumed, e dediti fin dal principio ad un’emulazione quasi forzata degli stilemi del grindcore britannico – ed in particolare del sound dei Carcass di “Reek Of Putrefaction” – sono giunti dopo una manciata di produzioni di dubbio interesse alla realizzazione di questo secondo full-length album prodotto da DeathVomit/Necropolis e licenziato in Europa nientemeno che da Century Media che, in un certo senso, oltre a segnare una svolta definitiva nel sound della band, mette la parola fine allo status meramente underground e lo-fi finora rappresentato. Ad onor del vero, insieme alla morte della vena più acerba e per certi versi più ortodossa, perfettamente rappresentata nel debut album “The Dead Shall Dead Remain”, i nuovi Impaled iniziano a difettare di personalità e definizione nella loro proposta, arrivando ad assemblare nel loro nuovo sound spunti melodici mutuati dagli ultimi Carcass e primi Arch Enemy, passaggi più propriamente ereditati dalla tradizione del brutal death americano, ed una pur sempre tangibile vicinanza a quel grindcore di scuola Exhumed che riaffiora specialmente negli episodi di apertura. A discapito comunque di capacità esecutive assolutamente sopra la media e di una produzione curatissima, le dieci tracce di “Mondo Medicale” risultano nell’insieme troppo poco personali o comunque mancanti di una vena creativa che le renda realmente appetibili: nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte ad un minestrone di influenze stilistiche che solo in rari casi riescono ad amalgamarsi all’interno della stessa canzone, e che ovviamente faticano ancor più a trovare la giusta continuità logica all’interno della tracklist. Difficile, però, bocciare la pur flebile volontà/necessità di evoluzione di una band nata e cresciuta negli aridi territori della tradizione e della mera emulazione: nell’insieme questo nuovo platter degli Impaled va infatti inquadrato come una prova sufficiente, che conosce momenti di spiccata lucidità compositiva in episodi come “To Die For”, “Choke On It” e “Rest In Faeces” e che – sempre che il quartetto statunitense sappia correggere il tiro e trovare in futuro un modulo espressivo più solido e convinto – può tranquillamente considerarsi come un valido lavoro di transizione.