7.0
- Band: IN APHELION
- Durata: 00:49:49
- Disponibile dal: 09/08/2024
- Etichetta:
- Century Media Records
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Sebastian Ramstedt è un musicista ormai prossimo allo stakanovismo. Dopo essersi defilato dalle scene per circa un lustro, affidando temporaneamente il songwriting dei Necrophobic alla penna dell’amico Fredrik Folkare, dal 2016 il Nostro si è rifatto avanti senza più fermarsi, confezionando tre album della sua band madre (l’ultimo, “In the Twilight Grey”, pubblicato a marzo) e rincarando nel frattempo la dose con il lancio del side project In Aphelion, già arrivato a tagliare il traguardo del secondo full-length dopo l’esordio “Moribound” del 2022.
Ritmi di lavoro serratissimi che, uniti a line-up sempre più simili fra loro (oltre a Johan Bergebäck alla seconda chitarra, oggi si segnala l’ingresso di Tobias Cristiansson al basso) e a soluzioni radicate nella scuola death-black svedese, stanno via via portando le due entità musicali a fondersi, con un songwriting che – in parallelo – inizia fisiologicamente a perdere un po’ di smalto e autorevolezza.
Ora, intendiamoci: “Reaperdawn” è lungi dall’essere un lavoro insufficiente o ‘buttato lì’, riuscendo anzi a ribadire, nella sua cinquantina di minuti di durata, una visione artistica non certo alla portata di tutti; un talento effettivamente innato nel fondere black, death, thrash e metal classico degli anni Ottanta in un amalgama palpitante e capace di evocare Satana fra le mura di casa.
Il problema, al netto della classe e dell’esperienza messe in campo dal cantante/chitarrista di Stoccolma, è che non sempre qui il riffing si attesta sui medesimi livelli del recente passato, inoltre è chiaro come questo regime da ‘catena di montaggio’ stia un po’ smorzando l’entusiasmo durante l’ascolto, facendoci essere più severi sul riciclo di spunti e sull’efficacia di alcuni brani.
Una premessa scomoda ma doverosa, che però – lo ribadiamo – non sottintende un’esperienza priva di motivi di interesse, e che si accompagna alla scelta del quartetto (completato da Marco Prij dei Cryptosis alla batteria) di accantonare parzialmente le trame epiche del suddetto debut album per spostarsi su coordinate più velenose e brutali, con melodie meno sgargianti e uno sviluppo tendenzialmente meno catchy.
Un disco più aggressivo, quindi, in cui gli equilibri fra rasoiate black/death e digressioni tradizionali (dal repertorio di King Diamond a quello dei Judas Priest, passando per il bacino del thrash metal teutonico) giocano a favore delle prime, e nel quale – accanto a pezzi decisamente ispirati come “The Fields in Nadir” o “Further from the Sun” – trovano anche spazio degli episodi che, per quanto sorretti da un’interpretazione rigorosa e sentitissima (da brividi, ancora una volta, lo screaming di Ramstedt), suonano vagamente standard, come se fossero delle versioni diluite di mini-hit come “Draugr” o “Luciferian Age”.
Chiaro, il livello medio è e resta alto, e va da sé che per i fan del genere l’assimilazione di questi otto inni diabolici sia molto più che consigliata, ma la speranza è che in futuro gli In Aphelion dedichino un tempo maggiore alla scrittura, così da passare dalla fascia ‘molto buona’ a quella ‘eccellente’. In fin dei conti, anche le crisi di mezza età hanno bisogno di essere contenute.