7.5
- Band: IN FLAMES
- Durata: 00:53:58
- Disponibile dal: 20/06/2011
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: EMI
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Apple Music:
Ci siamo. Siamo arrivati a quota dieci (10!) full-length album e gli svedesi In Flames si trovano davanti probabilmente al passo più importante della loro storia e della loro carriera. Ormai promossi – grazie al grande successo degli ultimi due lavori, “Come Clarity” e “A Sense Of Purpose” – al rango di Uno dei Gruppi a cui affidare il Futuro del Metal, i ragazzi di Goteborg arrivano all’ennesimo appuntamento col delitto in condizioni probabilmente ottimali, con alle spalle una pausa durata tre anni, un contratto nuovo di zecca con la Century Media e soprattutto senza nei loro ranghi il chitarrista Jesper Stromblad, fu unico membro fondatore rimasto e co-songwriter del gruppo, in apparenza auto-esiliatosi per sconfiggere la propria dipendenza dall’alcol. Quindi diciamolo chiaramente: le carte in tavola per una rivoluzione c’erano e ci sono tutte. Il jolly (o forse meglio dire il Jester) è passato così nelle mani e nelle corde della chitarra di Bjorn Gelotte, unico compositore effettivo di una band che, sotto questo punto di vista, risulta tremendamente deficitaria e limitata. Come? Anni e anni di carriera e i vari Iwers, Svensson e Fridén non mettono becco in niente che sia più di un arrangiamento oppure un testo? Zero spazio anche per il nuovo entrato Niclas Engelin, ovviamente, pur essendo amico di vecchissima data di tutti gli In Flames. Ci facciamo delle domande forse tardive, avete ragione, ma fin quando Jesper e Bjorn filavano in coppia, che bisogno c’era di porsi quesiti? Le risposte comunque ce le fornisce tutte (o quasi) il nuovo “Sounds Of A Playground Fading”, di cui vi invitiamo a leggere l’accurato track-by-track qui sotto. Suoni di un Parco-Giochi che Svanisce è un titolo che fa pensare alla fine dell’adolescenza e che mette addosso una tristezza atavica: per gli In Flames è davvero giunta l’ora di crescere e i vecchi fan si mettano – una volta per tutte e per davvero! – l’anima in pace. I ragazzi guardano avanti come sempre hanno fatto e non si voltano indietro neanche un attimo, se non per sigillare la fine del Giullare nella castrante “Jester’s Door”. L’album, preso nel suo insieme, contiene la musica più orecchiabile che il combo scandinavo abbia mai composto; ci sono pochi brani che viaggiano ad alte velocità e quelli che lo fanno (“The Puzzle”, “Enter Tragedy”) sono fra le tracce meno riuscite del platter; la voce di Fridén, che ha sopportato negli anni sperimentazioni ed effettistiche sempre più marcate, si esprime in timbri per la maggior parte puliti o rochi, senza più urlare come una volta; cresce il numero di assoli presenti, imbastardendo così leggermente di hard-rock l’unicum modern metal degli In Flames; i ritornelli da cantare, che da “Clayman” in poi hanno strabordato in ogni dove, sono ancora più cantabili, improntati al millepercento sulla presa live; e poi ci sono diversi altri (interessanti?) esperimenti – vedasi le magnifiche orchestrazioni di “A New Dawn”, il piglio danzante di “Darker Times”, il flavour pop di “Liberation”, la ballata semi-elettronica “The Attic” – che faranno vomitare i puristi legati a “The Jester Race” ma che potranno incuriosire i temerari proiettati nel futuro. Quale importanza hanno la produzione perfetta, la bellezza o meno del singolo “Deliver Us”, la grigitudine di una cover del malaugurio, di fronte a tale compattezza e decisione d’intenti? Già, perché con “Sounds Of A Playground Fading” – poco ma sicuro – gli In Flames entrano senza paura in una nuova fase della loro vita. E a voi non resta altro, ancora una volta, che decidere se prenderli o lasciarli.
SOUNDS OF A PLAYGROUND FADING
L’opener di “Sounds Of A Playground Fading” è la title-track e ricalca in linea di massima quanto di meglio ci hanno fatto ascoltare gli In Flames negli ultimi lavori: dolciastro arpeggio introduttivo, riffing serrato e a tratti stoppato che richiama molto qualcosa di “Soundtrack To Your Escape”, strofa dinamica e chorus arioso, melodico e potente che sarà sicuramente da cantare durante i concerti di prossimo arrivo. Il primo di una lunga serie di assoli riempie la parte centrale del brano, prima di lasciar spazio di nuovo a strofa e chorus e ad una chiusura che odora parecchio di Slipknot. Pezzo d’apertura più che funzionale!
DELIVER US
Arriviamo subito a “Deliver Us”, il singolo che quasi tutti voi avrete avuto modo di ascoltare. E’ un altro brano che segue la tradizione degli ultimi In Flames, con tanta elettronica presente e leggere venature industrial nella strofa. Il bridge si rivela un po’ deboluccio, ma vi assicuriamo che è solo questione di ascolti. Si notano con piacere nuove sperimentazioni vocali di Fridén, la cui voce, seppur mai miracolosa, è ormai un trade-mark indelebile del gruppo. Il ritornello è epico e come al solito trascinante, uno dei migliori del disco. Ancora assoli in evidenza, e questo particolare ci rivela una delle caratteristiche principali del songwriting di Gelotte, il maggior appeal solistico. Brano che cresce col tempo.
ALL FOR ME
Altro ‘trucchetto’ compositivo che deve piacere molto a Bjorn è l’incipit arpeggiato. “All For Me” inizia proprio così, prima di abbandonarsi ad un riffing sbilenco e sinuoso che ricorda vagamente i Gojira. Il lavoro di Svensson alle pelli in questo pezzo si fa notevolmente rimarcare, ma è l’approccio vocale di Fridén a stupire maggiormente, con alcuni timbri quasi inediti e stranamente rochi. Cori di sottofondo in supporto ad un ritornello non entusiasmante, che dopo la seconda ripetuta sfuma in una sezione acustica nella quale Anders ancora ci stupisce con vocals particolarmente vissute. Un briciolo di sperimentazione per un episodio un po’ meno immediato ma comunque interessante.
THE PUZZLE
Con “The Puzzle” si scopre rapidamente una cosa: gli In Flames sono in netta difficoltà nella composizione di pezzi veloci e aggressivi. In sede di note promozionali si tira in ballo addirittura “Whoracle”, ma vi assicuriamo che non c’entra proprio niente. Più che altro ci troviamo di fronte ad una traccia che avrebbe fatto la sua figura su un disco sopravvalutato quale “Come Clarity” e nulla più. Piacciono solo lo spezzone centrale più groovy, baciato da un paio di piacevoli assoli, e lo sfumo lento e tristemente melodico. Siamo al limite del filler.
FEAR IS THE WEAKNESS
Terzo arpeggio d’introduzione. “Fear Is The Weakness” parte poi con un ottimo groove segnato da keys spaziali, seguito da un breve hook d’aggancio 100% In Flames. La strofa è molto bella, carica dei classici giri melodici che ben conosciamo; buono anche il bridge che precede un chorus carino ma nella media, prima di dare spazio ad un nuovo assolo super-epico. La traccia, nonostante il titolo parecchio negativo, presenta un mood solare e positivo, quasi emanante allegria. Che la negatività di Stromblad abbia lasciato spazio ad una sorta di benessere d’insieme?
WHERE THE DEAD SHIPS DWELL
Eccola qua: “Where The Dead Ships Dwell” è la nuova “Cloud Connected”! Brevissimo intro elettronico e via con ritmiche marziali e quadrate supportate da riffing spartano e campionamenti importanti. Anche il chorus ricalca leggermente quello di “Cloud Connected”, ma forse è solo un’impressione. Siamo comunque di fronte certamente ad uno dei pezzi che ascolteremo dal vivo e che ci farà esaltare di più. Stavolta gli assoli sono più di uno e pare esserci un divertente duello d’asce tra Gelotte ed Engelin. Il finale riprende la quadratura ritmica e il tappeto elettronico. Gran pezzo!
THE ATTIC
“Sounds Of A Playground Fading” termina la sezione più ancorata al (recente) passato degli In Flames e si lancia in una seconda parte più variegata e per certi versi innovativa. Si parte con “The Attic”, ballatona acustica ed elettronica che resta tranquilla e pacata per tutta la sua durata. Carica di effettistica e arrangiamenti particolari, la traccia non è male e mostra un Anders ancora alle prese con la sua timbrica più dimessa ed interpretativa. A tratti ci ritorna in mente “Day To End” dei Dark Tranquillity, sebbene qui l’atmosfera non sia per niente dark. Sabbia negli occhi per i vecchi fan, gradevole intermezzo per i nuovi.
DARKER TIMES
Con “Darker Times” allacciate bene le cinture di sicurezza: nonostante i suoni (nu)metal, siamo all’ascolto di un brano costruito per fare ballare la gente. Ebbene sì: sentite la strofa trascinante ed incalzante ed il seguente chorus iper-cantabile pizzicato da rintocchi di tastiere. Daniel Svensson propone forse le ritmiche più semplici mai studiate per un brano degli In Flames e davvero riusciamo facilmente ad immaginarci intere platee muoversi all’unisono seguendo l’andatura di questo brano. Nuovi e riusciti assoli confermano qualche deriva hard-rock che il modern metal degli In Flames sta assumendo pian piano. Chi scrive apprezza praticamente tutto quanto composto dalla band nella sua carriera, ma fa effettivamente un po’ specie trovarsi a muovere il sedere e non a scapocciare la testa su questa “Darker Times”.
ROPES
Ci si riprende alla grandissima con uno dei brani migliori del disco: “Ropes” deflagra con groove e hook melodici degni della più storica tradizione In Flames, e che finalmente ci fanno azzardare degli avantendré con la testa. Ottima strofa pacata e melodica e con Fridén in gran spolvero; bridge particolare con contro-cori lontani e dolcissimi; e discreto chorus che però lascia un po’ d’amaro in bocca. Ancora un assolo a puntellare il nuovo corso In Flames, che però in “Ropes” trova la sua migliore espressione ricalcando quanto fatto in “A Sense Of Purpose”. Altro finale esaltante con hook a chiudere le danze.
ENTER TRAGEDY
Si torna su velocità sostenute con “Enter Tragedy” ed infatti, a conferma di quanto scritto sopra, l’episodio è fra i più sottotono e banali del lavoro. Salviamo la strofa e il paio di assoli, ma il ritornello resta piuttosto anonimo e insipido anche dopo diversi ascolti. Il rallentamento poderoso a centro brano sembra non c’entrare assolutamente nulla col resto della canzone, che si rivela essere la meno riuscita di “Sounds Of A Playground Fading”. Peccato.
JESTER’S DOOR
Arriviamo a quella che per chi scrive è la traccia più significativa dell’album, non tanto per la musica ma bensì per parte del testo. E’ in pratica un intermezzo recitato che, se dal titolo fa sperare in un ritorno alle vecchie sonorità, in realtà ne decreta la morte definitiva. Dopo un avvio strano, da atmosfera spaghetti-western, arriva la voce di Anders: ‘But times have changed, I have to defend my actions; the foundation crumbles and I have to leave; thanks for everything, I can’t ask for more; I say I love you all as I vanish through the Jester’s door’. Dopodiché, aspettatevi la partenza di un groove electro-industrial pompatissimo che pare uscito da qualche colonna sonora a caso…
A NEW DAWN
Con gli ultimi due pezzi del disco, giungiamo alle tracce in qualche modo più atipiche di “Sounds Of A Playground Fading”: “A New Dawn” si può dividere in due sezioni distinte, la prima composta da un classico e poderoso brano ultimi In Flames, con tante variazioni vocali, un buon tiro, bel groove e belle melodie, chorus arioso e cantabile; nella seconda parte, invece, entrano in gioco raffinati arrangiamenti orchestrali che ci rammentano addirittura qualche passaggio di “S&M” dei Metallica, sospesi tra arpeggi acustici in crescendo, assoli di gusto e una pervadente magniloquenza che si prende tutta la scena. Un brano lungo e molto strutturato – quasi progressive se si pensa che si sta parlando degli In Flames – che vi stupirà non poco e che ci piacerebbe davvero tanto vederlo riproposto su palco. Bellissimo.
LIBERATION
Chiude i giochi “Liberation”, il cui incipit fa letteralmente rizzare i capelli: elettronica e poi arpeggio dal flavour reggae accoppiato a delle vocals che sanno di pop lontano un miglio. Pare di ascoltare un pezzo dei P.O.D., con le dovute differenze. Il ritornello che esplode poco dopo è pregno di miele e zucchero, ma tutto sommato non è così drammatico. Bell’assolone a seguire e poi si teme per qualche intervento à la Bob Marley di Fridén…ma per fortuna (?) riprende il chorus ad anticipare un finale di album acustico e sognante.