8.5
- Band: IN FLAMES
- Durata: 00:41:35
- Disponibile dal: //1999
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
A differenza dei loro compagni d’avventura Dark Tranquillity, i quali nel 1999 fanno uscire sul mercato il discusso e sperimentale “Projector”, gli In Flames decidono di percorrere strade sicure, soprattutto dopo aver perso due dei tre membri fondatori della band (Ljungstrom e Larsson), pubblicando un disco che in pratica ricalca le coordinate musicali di “Whoracle”, pur presentando qualche novità/cambiamento. I nuovi arrivati, Peter Iwers e Daniel Svensson, compongono la sfavillante sezione ritmica, ben messa in evidenza dalla mostruosa produzione scaturita dai Fredman Studios, ormai assurti a status di “tempietto sacro” per il Goteborg-sound. La cover, manco a dirlo, è ancora stupenda, rappresentante un mondo ormai colonizzato dalla Jester Race e imperniata sul solito fondale magicamente dipinto (stavolta di rosso e sue sfumature), tipico dell’arte di Marschall. L’apertura è affidata alla trascinante “Embody The Invisible”, vera e propria rilettura di “Jotun” (non che ciò sia un difetto, anzi!); nella successiva song, “Ordinary Story”, la band varia leggermente attitudine, componendo un brano relativamente tranquillo e dal netto appeal “commerciale”, avente una strofa pulitissima, un riffing molto orecchiabile e deliziosi arrangiamenti alle tastiere (suonate dal produttore Fredrik Nordstrom o, talvolta, da Jesper stesso): con il senno di poi, si può tranquillamente dire che tale pezzo è la prima avvisaglia dei cambiamenti che avverranno nel songwriting della band di lì a breve. Piccole sperimentazioni si odono anche nell’ottima “Scorn”, dotata di campionamenti accennati e di una strofa quasi “rappata”, la quale non inficia assolutamente la cattiveria della traccia. Piacevoli gli arrangiamenti di organo Hammond della title-track, inno epico e cadenzato, devastante dal vivo e atta a mettere in mostra un Fridèn in grandissima forma, cangiante nelle sue varianti vocali. Segue “Zombie Inc.”, cavalcata melodica piuttosto anonima, se non fosse per i due intermezzi acustici posti nel mezzo della track. Deludente, invece, la strumentale di turno (l’ultima composta, ad oggi), “Pallar Anders Visa”, per niente all’altezza delle instrumental track presenti nei due dischi precedenti “Colony”. “Coerced Coexistence” si attesta su buoni livelli, classico power-death à la In Flames, impreziosito da un solo di Kee Marcello degli Europe (!!). Sempre parafrasando “Whoracle”, la band compone una sorta di neo-“Gyroscope” e la intitola “Resin”: l’imponente incedere melodico e linee vocali ringhianti e rabbiose la incoronano uno dei brani migliori del disco. E’ la volta poi della riproposizione della primitiva “Behind Space”, riarrangiata e prodotta a dovere: l’impatto della song è tremendamente efficace e il timbro di Fridèn non fa rimpiangere quello di Stanne, seppur un pizzico di nostalgia per la prima versione lo si senta. Fanno calare il sipario sull’album, “Insipid 2000”, brano sotto la media e non particolarmente esaltante, e la botta adrenalinica di “The New Word”, nella quale fa la sua comparsa un bel riffing triggerato che poi sentiremo spesso in futuro. Platter avvincente e che conferma i cinque svedesi alla guida di un movimento in rapida ascesa, dal quale, però, proprio i nostri In Flames sceglieranno di prendere sempre più le distanze… a partire dal lavoro successivo, “Clayman”…